Delitto Gucci, il portinaio del palazzo: "Mi hanno sparato e ho dovuto pure pagare"

Era il 27 marzo 1995: il killer ferì anche Onorato. Dei 200 milioni di risarcimento non ha mai visto una lira, anzi

SANGUE In basso da sinistra Giuseppe Onorato Patrizia Reggiani e Maurizio Gucci A sinistra il suo corpo trasportato fuori dal palazzo di via Palestro dopo l’agguato

SANGUE In basso da sinistra Giuseppe Onorato Patrizia Reggiani e Maurizio Gucci A sinistra il suo corpo trasportato fuori dal palazzo di via Palestro dopo l’agguato

Milano, 27 marzo 2019 -  «La giustizia mi ha dimenticato. Da 24 anni attendo di essere risarcito: quei 200 milioni di vecchie lire a cui, secondo i giudici, ho diritto. Di quella mattinata maledetta ricordo ogni momento. E se me ne dimenticassi, a ricordarmelo penserebbe il mio braccio colpito da due proiettili, che mi ha lasciato un’invalidità del 40 per cento». Duecento milioni di lire sono una cifra ragguardevole, spicciolo più e spicciolo meno, 100mila euro. Giusto per compensare a Giuseppe Onorato una mattinata di paura, i ricoveri, le cure, le spese per gli avvocati e tanti anni passati inutilmente cercando di far valere le proprie ragioni.

Onorato era il portiere dello stabile rinascimentale al numero 20 di via Palestro, a Milano. La mattina del 27 marzo 1995, verso le 8.30, stava spazzando le foglie che il vento aveva lasciato davanti ai due portoni. Il tempo di scambiare un saluto con Maurizio Gucci, che si avviava nei suoi uffici. Stilista e imprenditore della moda, ultimo erede della dinastia di moda con la doppia G incrociata, Gucci aveva 46 anni. Il killer gli arrivò alle spalle nell’androne, esplose quattro colpi. Guardò quasi con sorpresa Onorato, a un metro, con la scopa in mano. Rivolse contro di lui la 7.65 silenziata e sparò altre due volte. Un proiettile si conficcò nel braccio sinistro del portiere e ci rimase, l’altro frantumò ulna e radio.

Per l'omicidio Gucci l’ex moglie Patrizia Reggiani è stata condannata a 26 anni di reclusione come mandante. Oggi è completamente libera. Il 14 settembre 2016 la quarta sezione civile della Corte d’appello di Milano ha riconosciuto il diritto della Reggiani di ricevere dagli eredi di Maurizio (ossia le due figlie Allegra e Alessandra) i soldi legati a un accordo fra i genitori, separati nel 1985. L’accordo, registrato come “promemoria d’intenti”, venne firmato il 24 dicembre 1993 a Sankt Moritz, nell’Engadina. Maurizio s’impegnava a corrispondere alla ex moglie 1,1 milioni di franchi svizzeri l’anno, vita natural durante. Allegra e Alessandra Gucci hanno chiesto l’annullamento dell’accordo.

Giuseppe Onorato, origini siciliane, ex sottufficiale dell’esercito, ha lasciato Milano. Vive a Gandellino, nella Bergamasca, in Val Seriana, il paese di origine della moglie. «Il risarcimento di 200 milioni di lire era stato stabilito dai giudici di primo grado nel processo che aveva condannato la Reggiani e gli altri. Non li ho mai visti e continuo a non vederli. In questi anni, fra spese mediche e spese legali varie per ottenere quello che mi è dovuto, ho sborsato 20mila euro». La beffa legata all’ultima battaglia è stata due anni fa, quando si è visto recapitare una cartella esattoriale dell’Agenzia delle Entrate, 900 euro da pagare entro il 28 febbraio. «Sapevo che la Reggiani lavorava in un negozio e avevo chiesto una parte del suo stipendio: 120 euro, aveva stabilito il giudice. Il risultato è stata quella cartella da 900 euro, una cifra poco più bassa della mia pensione, a cui si aggiungono i 250 euro che mi arrivano dall’Inail».

«A un certo punto della mia storia ero talmente esasperato e amareggiato, che avevo pensato di fare qualcosa, come stracciare la tessera elettorale. Poi ho riflettutto che non sarebbe servito a niente. E poi ho la mia dignità e a quella non rinuncio». L’ex portiere di via Palestro conclude il suo sfogo: «In tutti questi anni, oltre alla ingiustizia che subivo e continuo a subire, ci sono state altre cose che mi hanno fatto male o che mi hanno indignato. La madre della signora Reggiani ha dichiarato un volta in televisione che mi ero trovato nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Certamente, se in quello momento fossi sceso in bagno, non mi avrebbero sparato. Invece ero al mio posto, al lavoro. A fare il mio dovere, come sempre».

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