Milano, 18 agosto 2019 - Siedono tra vacanzieri diretti verso la riviera ligure nei giorni di Ferragosto, e qualche turista francese di ritorno da una visita nel capoluogo lombardo. «Scendiamo a Ventimiglia», spiegano due giovani originari della Costa d’Avorio sul treno Milano-Nizza, prima di chiudersi nel silenzio. Tenteranno di varcare il confine con la Francia, sfruttando quei varchi al centro di un flusso di migranti diretti verso il Nord Europa divenuto via via meno consistente. Gruppi trascorrono le giornate davanti alla stazione Centrale di Milano. Alcuni hanno trovato lavoro come rider, manovalanza per i giganti del food delivery. Sono lontani i giorni dell’emergenza a Milano, quando lo scalo ferroviario era tappa per migliaia di migranti provenienti da Sud e diretti verso il Nord Europa, ma resta il nodo della gestione di chi si è fermato. Secondo i dati del Comune, a Milano sono 300 le persone che finora hanno perso il diritto all’accoglienza per effetto del decreto Sicurezza voluto dal ministro dell’Interno Matteo Salvini, che ha imposto una stretta con l’obiettivo di incrementare le espulsioni. Una strategia nella quale si inserisce anche l’apertura prevista per l’autunno del Centro di permanenza per i rimpatri in via Corelli, nella struttura che un tempo ospitava il famigerato Cie. Migranti usciti dai centri, che in alcuni casi sono diventati dei “fantasmi”, fuori dai radar. «Il decreto ha prodotto l’aumento dei senza dimora nelle nostre città - spiega l’assessore alle Politiche sociali Gabriele Rabaiotti - solo a Milano circa 300 persone sono finite in strada, pur avendo un regolare permesso di soggiorno per richiesta di asilo o per motivi umanitari. Persone che spesso avevano avviato percorsi di integrazione bruscamente interrotti». Sono 422 i migranti rimasti negli ex Sprar gestiti da Palazzo Marino. Il Comune lo scorso 30 giugno ha chiuso tutti i Centri di accoglienza straordinaria comunali non rinnovando la convenzione col Viminale, chiedendo di portare i posti ex Sprar a 1.000. Ma il ministero, per ora, «ha detto di no». Centri che progressivamente si svuotano, nuovi bandi delle Prefetture rivisti al ribasso e difficoltà nella gestione dei cosiddetti soggetti deboli, donne con bambini o minori non accompagnati. Tensioni che rischiano di esplodere, come è successo nel Cas di via Aquila lo scorso 4 agosto. La rivolta è finita con l’arresto e la successiva condanna di sette ragazzi. Intanto gli arrivi continuano a calare. Gli ultimi dati del ministero dell’Interno, aggiornati al 16 agosto, parlano di 4.282 migranti sbarcati nel 2019. Nello stesso periodo dell’anno scorso erano 19.317, mentre nel 2017 erano 97.462 (-95.61%). Attualmente sono 14.756 le persone in accoglienza in Lombardia, prima regione in Italia: 12.720 nei centri e 2.036 negli ex Sprar, i Siproimi. In un anno il numero si è quasi dimezzato, visto che a luglio 2018 erano 22.762. Ad aumentare sono stati invece i dinieghi delle richieste d’asilo. «Tra gennaio e giugno i dinieghi sono quasi l’80% - evidenzia la Comunità di Sant’Egidio - solo un anno fa, prima del decreto sicurezza, erano il 59%. L’abolizione del permesso umanitario causa l’aumento degli irregolari, per i quali l’affitto clandestino e il lavoro nero rimangono le uniche possibilità».