Export, Milano trema: allarme per i dazi Usa

"La guerra commerciale ci danneggia". Prime crepe nel sistema: la politica estera rallenta la crescita

operaia al lavoro (Archivio)

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Milano, 6 ottobre 2019 - Un sistema produttivo orientato verso l’estero entrato in fibrillazione. Il timore, dopo la mossa degli Usa, è quello di una guerra dei dazi, con le imprese del territorio metropolitano che avrebbero tutto da perdere. La bilancia dei rapporti commerciali tra Città metropolitana e Stati Uniti vede infatti 2.5 miliardi di euro di export negli Usa, nel primo semestre di quest’anno, con una crescita del 12.4% rispetto al 2018. L’import si ferma invece al valore, comunque considerevole, di un miliardo di euro, +10% rispetto al 2018, secondo gli ultimi dati di Promos Italia, la struttura nazionale del sistema camerale al supporto dell’internazionalizzazione delle imprese. Nuove barriere potrebbero affossare la crescita delle esportazioni, non solo nei settori colpiti dai dazi di Trump. Intanto a tremare è soprattutto l’ agroalimentare. «Nonostante i dazi non colpiscano tutti i prodotti agroalimentari made in Italy - spiega Giovanni Da Pozzo, presidente di Promos Italia - si tratta comunque di un forte contraccolpo per l’export di settore. È necessario avviare al più presto una trattativa a livello comunitario».

I dati hanno il segno più, ma un rapporto del dipartimento Mercato del lavoro della Cgil di Milano ha messo sotto la lente le prime crepe di un sistema che scricchiola. Questo a partire da un dato: le esportazioni dalla Città metropolitana verso tutto il mondo sono cresciute solo dell’1% fra il primo trimestre 2019 e lo stesso periodo del 2018, segnando un peggioramento rispetto all’ultimo triennio nonostante nei mesi successivi ci sia stato un assestamento. I motivi? Secondo il sindacato vanno cercati nella politica. «Anche Milano risente delle turbolenze internazionali - scrive Antonio Verona, responsabile del dipartimento - l’introduzione di dazi, la fine dell’egemonia statunitense, la politica dei blocchi e degli embarghi convergono nel tratteggiare un futuro meno scontato». La situazione è «critica» e «potrebbe condizionare le prospettive di crescita dell’area metropolitana milanese, a motivo della propria vocazione all’export». Inoltre «è evidente il rischio che si ripercuota sui livelli occupazionali e sulla qualità del lavoro, per lo più aggravata dalle incertezze del quadro politico nazionale». E il protezionismo è un danno per il territorio lombardo, importatore di materie prime ed esportatore di prodotti alimentari, tessili, macchinari e non solo. Prodotti che, in tanti casi, sono la punta di diamante della produzione industriale. Sul piatto ci sono 5 miliardi di euro di export verso gli Usa nel primo semestre dell’anno (+10.2% rispetto al 2018) da parte delle imprese lombarde, prima regione in Italia per i rapporti commerciali con gli Stati Uniti. In cima alla lista ci sono macchinari e apparecchi, con un valore di 1.2 miliardi di euro. Poi prodotti tessili (706 milioni di euro), articoli farmaceutici (702 milioni di euro), prodotti in metallo (573 milioni), prodotti chimici (439 milioni) e alimentari (316 milioni). La maggior parte dei settori non è direttamente colpita dai dazi, ma il timore è per gli scenari futuri, perché il commercio per prosperare ha bisogno di «frontiere aperte e stabilità politica».

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