L’arte pubblica a Milano: dalle panchine di design alle mostre sui muri

Marina Pugliese, direttrice del Mudec e dell’Ufficio di Arte pubblica: "Per cambiare il volto dei quartieri serve tempo, pronto il Vademecum"

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di Stefania Consenti

"Sarà un museo ancor più vivo, aperto alla città, alla contemporaneità". Marina Pugliese metterà le ali al Mudec, il Museo delle Culture che dirige, fresca di nomina, insieme all’Ufficio di Arte pubblica a Milano, il primo in Italia.

Ci sono tante aspettative sul suo conto...

"Sento la responsabilità ma non ho la bacchetta magica! Per l’arte pubblica ci vogliono almeno tre anni per cominciare a vedere i primi risultati. Su questo mi sono confrontata anche con Mary Jane Jacob, guru dell’arte pubblica a Chicago. Stiamo lavorando bene, presto presenteremo un Vademecum per l’arte monumentale ed installativa frutto di una serie di collaborazioni e relazioni internazionali".

E per il Mudec?

"Abbiamo varato un Comitato scientifico con nomi di spicco a livello internazionale, con componenti italiani e stranieri. Ad esempio: Hou Hanru, attualmente direttore artistico del MaXXI a Roma e curatore di numerose esposizioni di rilevanza globale, Tarek El Haik, professore associato di Antropologia all’Università della California a Davis, Lucia Savi, curatrice per il Design Museum di Londra, Gabriella Belli, direttrice della Fondazione Musei Civici di Venezia e Kibra Sebhat, esperta di comunicazione, video produttrice, scrittrice, afrodiscendente, italiana di origine africana. Sono convinta che darà quello scatto in più, per affrontare anche temi spinosi, come ad esempio il passato coloniale, attraverso la rilettura delle Collezioni che provengono da contesti non europei".

E’ stata accolta bene la mostra dossier “La voce delle ombre Presenze africane nell’arte dell’Italia settentrionale“. Se l’aspettava?

"Me lo auguravo. Preciso che era stata impostata prima del mio arrivo e il successo penso sia dovuto da un lato alla serietà scientifica dei curatori dall’altro al fatto che tocca un tema a lungo rimasto forse volutamente inesplorato. Dobbiamo rileggere tutto con gli occhi della contemporaneità; oggi essere cittadini italiani non significa essere necessariamente figli di italiani da dieci generazioni".

La missione del Mudec?

"Valorizzare i Depositi, le Collezioni. Collegarsi alla città. Il Covid ha mostrato che i musei non bastano a se stessi e che lo spazio pubblico è fondamentale per il benessere delle persone. Penso che dietro la scelta politica dell’assessore Sacchi di tenere insieme il Mudec e l’Arte pubblica ci sia lungimiranza e il desiderio di avviare una sperimentazione per consentire al museo di uscire dal suo abituale perimetro e intervenire nella città in senso lato, non solo in centro, con le azioni di design e muralismo che stiamo portando avanti nei diversi quartieri. Il primo murales che abbiamo realizzato in città con il Mudec era ispirato alla mostra di Mondrian, l’idea condivisa con 24Ore Cultura è quella di portare fuori anche altre mostre...".

Torniamo all’Arte pubblica, Milano è in ritardo sul tema...

"Milano in passato è stato uno dei luoghi più avanzati di sperimentazione dell’arte pubblica, per esempio durante il fascismo. Penso all’Arengario con i bassorilievi di Arturo Martini o Sironi al Palazzo dell’Informazione. Oggi l’idea non è di disseminare in città sculture ma fare un ragionamento integrato quando si affronta la rigenerazione complessiva di un luogo. Stiamo affrontando seriamente il tema con un confronto con altre città del mondo, come New York, Londra, Monaco di Baviera, Zurigo, San Francisco, Chicato. Produrremo un Vademecum per l’arte monumentale e installativa, come abbiamo fatto per la street art, che sottoporremo alla Giunta. In un anno e mezzo abbiamo fatto già tanto partendo da zero".

Progetti?

"Continuare con il progetto “Un Nome in ogni quartiere“ per regalare un muro identitario ai quartieri della città. Stiamo lavorando ad un progetto di sedute di design italiano storico e contemporaneo che mi piacerebbe replicare in altre città italiane. E’ un progetto pilota e vorremmo nel futuro raggiungere tutti i quartieri con iniziative sostenibili anche dal punto di vista economico".

Come ha ritrovato Milano dopo aver vissuto a San Francisco cinque anni?

"Cambiata, molto più vivibile. Sono impressionata anche dalla resilienza che la città ha mostrato durante il Covid. Adoro Milano perchè è l’unica città italiana di rilievo internazionale. E i quartieri che amo di più sono Porta Venezia, dove vivo, e Solari Tortona perchè c’è il Mudec".

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