Dall’intellettuale ribelle Mari alla “lotta“ di Claudia Andujar

La Triennale inaugura due nuove mostre fra la provocazione del design e l’impegno sociale

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di Gian Marco Walch

Intellettuale d’invidiabile rigore, Enzo Mari. Sì, proprio intellettuale: come giustamente elenca Hans Ulrich Obrist, curatore con Francesca Giacomelli della grande mostra che si è appena aperta in Triennale, dove rimarrà in cartellone sino al 18 aprile 2021, Mari è un designer industriale, un disegnatore di mobili, un progettista di mostre, un artista, un autore di manifesti, un polemista celebre per le sue sfuriate contro il mondo del design. Di questo particolare aspetto possiamo dare personale testimonianza ricordando almeno un paio d’interviste. E, poi, non basterebbe la sua affermata ferma volontà di donare l’intera collezione delle sue opere alla città di Milano a condizione che nessuno possa avere accesso al suo Archivio per quarant’anni perché solo allora potrà farne un uso consapevole una nuova generazione "non degradata come quella odierna"? Intellettuale austero e burbero, ma anche dolce, ma anche irruente, Enzo Mari, noto per il suo impegno negli anni Sessanta e per il suo legame con il comunismo, è designer “politico” autenticamente democratico: il suo obiettivo è sempre stato la creazione di progetti “sostenibili” e soprattutto accessibili a tutti. Al limite utopico di una incredibile “Autoprogettazione”, come proposto nel 1974.

Attualmente direttore artistico delle Serpentine Galleries di Londra, curatore di oltre 300 mostre, il mostro sacro Obrist ha avuto soltanto la difficoltà di scegliere, per l’esposizione, in un catalogo di opere lungo sette decenni - ed è quasi sterminato pure il catalogo edito da Electa -: un arco di tempo in cui il mostro sacro Mari ha “giocato” seriamente con vasi e calendari, con libri e ceramiche, anche con giochi e giocattoli. Nel tentativo, al di là della provocatoria affermazione che il design è morto, l’architettura è morta ed è morta persino la civiltà occidentale, nel tentativo di creare l’oggetto perfetto. Quello che scaturisce dall’orrore per tante, troppe cose inutili, terribili, tremende. Non solo “Enzo Mari curated by Hans Ulrich Obrist” in programma da ieri alla Triennale.

Di tutt’altro impatto, ma anch’essa insieme artistica e politica, la seconda mostra ospitata, questa sino al 7 febbraio 2021, nei saloni di viale Alemagna 6: “La lotta Yanomami” di Claudia Andujar. Frutto di molti anni di ricerca negli archivi della fotografa brasiliana, l’esposizione, curata da Thyago Nogueira e tradotta in un catalogo trilingue, allinea più di 300 scatti in bianco e nero e a colori firmati da un’artista che dall’attività di fotoreporter è approdata all’attivismo esplicito: "Sono connessa agli Indiani, alla terra, alla lotta per i diritti fondamentali. Tutto questo mi commuove profondamente". E infatti, dopo inizi similsurrealisti nel tentativo di raccontare esperienze sciamaniche, Claudia Andujar, memore delle persecuzioni naziste nella natia Transilvania, è arrivata ai drammatici ritratti di Yanomami identificabili dai numeri delle loro cartelle cliniche: “Marchiati”.

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