Gian Paolo
Corda*
Nel giugno del 2000, in applicazione della legge regionale 9 del 1999, Milano ha conosciuto, con l’approvazione del “Documento di Inquadramento delle politiche urbanistiche comunali”, un diverso modo del fare urbanistico che, superando la rigidità del tradizionale Piano Regolatore e ispirandosi alla tradizione anglosassone, metteva al centro il progetto architettonico e urbano accompagnato da un “piano di struttura” cui assoggettarsi per le verifiche degli aspetti di coerenza. Sono note le ragioni alla base: da un lato la necessità di un fare urbanistico che non operasse “in negativo” apponendo vincoli urbanistici, resi inattuali dalla dinamica urbana, ma “in positivo” attraverso progetti attenti all’evolversi dei bisogni, dall’altro di rendere trasparente il processo di contrattualizzazione tra potere pubblico e iniziativa privata, superando la discrezionalità di un’urbanistica “contrattata”, che proprio sulla rigidità del piano aveva coltivato le proprie distorsioni. Gli anni che sono seguiti hanno visto sorgere, e ricordo solo i tre più significativi, CityLife sul polo storico della Fiera, Porta Nuova che si trascinava da quarant’anni senza esito, il Portello sulle aree dell’Alfa Romeo. In questi, come in altri, è stata sì attuata la flessibilità concessa ai grandi operatori che hanno guardato al mercato immobiliare, mentre l’Amministrazione non è parsa in grado di far valere le ragioni del piano di struttura, che pure si era dato. In questa stagione mutata strutturalmente dalla pandemia, occorre riaprire la questione urbanistica ponendo al centro la questione abitativa che deve concorrere a definire la strategia sul futuro attendibile di una città, vista non come Municipio ma come polo centrale di una vasta area metropolitana, per superare la diseguale dotazione di servizi e di funzioni nobili e di opportunità di movimento con mezzo collettivo: uno sviluppo cui pubblico e privato, con mezzi nuovi, anche aiutati dal Next Generation UE, debbono poter concorrere. La ridefinizione dello sviluppo della città nel recupero degli Scali ferroviari dismessi deve poter essere una svolta dell’urbanistica milanese per la prossima amministrazione.
*Architetto e urbanista