Covid, vaccini e varianti: quanto sono efficaci

L'immunologa dell'università di Milano-Bicocca Francesca Granucci: "Fermare la circolazione del virus evita la nascita di nuove forme pericolose"

L'immunologa Francesca Granucci

L'immunologa Francesca Granucci

Milano, 13 febbraio 2021 – Emergenza Covid, i contagi non calano, il piano vaccini si trova a fare i conti con le forniture (a singhiozzo) e con le varianti del virus che mettono in discussione l'efficacia dei sieri a disposizione. Ma è effettivamente così? “La risposta immunitaria che viene indotta dai vaccini approvati per l’utilizzo di massa è molto ampia e, per il momento, non ci sono evidenze che non siano sufficientemente efficaci anche contro le varianti inglese, sudafricana e brasiliana che preoccupano per la loro capacità di diffusione”, spiega la professoressa Francesca Granucci dell'Università di Milano-Bicocca, alle spalle una lunga storia di studi pioneristici e ricerca innovativa in immunologia. Professoressa, gli ultimi dati dicono che il 20% delle infezioni da coronavirus è dovuta alla 'variante inglese'. E sale l'allarme anche per la diffusione delle altre varianti... “Se si dà la possibilità al virus di circolare, si dà anche la possibilità al virus di generare nuove varianti. La conseguenza ovvia è che prima o poi si genereranno delle varianti contro le quali questi vaccini non saranno efficaci. Per questo motivo, è importante agire in fretta con una campagna massiva di vaccinazione per ridurre la circolazione del virus e quindi evitare la generazione di nuove varianti pericolose”. Un vaccino con una elevata percentuale di efficacia ha più probabilità di essere valido sulle varianti rispetto a un siero con una efficacia minore? “Da un punto di vista teorico non è possibile prevedere di quanto si possa abbassare l’efficacia di un vaccino rispetto ad un altro contro le specifiche varianti. In altre parole, non è detto a priori che se un vaccino è meno efficace di un altro nel contrastare l’infezione del virus contro il quale è stato prodotto risulti meno efficace anche contro le varianti del virus stesso o che addirittura perda completamente l’efficacia. Vista la complessità di funzionamento del sistema immunitario e la complessità con cui vengono generati e selezionati gli anticorpi, solo la sperimentazione può dare le risposte adeguate”. Come viene misurata l'efficacia di un vaccino? “L’efficacia della vaccinazione viene valutata come produzione di anticorpi neutralizzanti (cioè anticorpi che impediscono al virus di infettare le cellule) e protezione dallo sviluppo della malattia. Non viene valutata, invece, la capacità di bloccare la trasmissione del virus da parte di un individuo vaccinato. In maniera sorprendente rispetto a quanto fosse ipotizzabile sulla base dei dati a disposizione della comunità scientifica, i vaccini a mRNA sono risultati più efficaci rispetto a quelli basati su altre piattaforme”. Allora qual è la differenza tra i vari vaccini attualmente in utilizzo? “Dei circa duecento vaccini in sperimentazione, tre sono stati approvati per l’utilizzo in Italia: Pfizer-BioNTech, Moderna e AstraZeneca. I primi due sono vaccini a RNA messaggero (mRNA) mentre quello prodotto da AstraZeneca si basa sull’utilizzo di un virus innocuo non replicante come vettore. Nei vaccini di Pfizer e Moderna, una molecola organica, l’mRNA - ovvero il materiale genetico che contiene l’informazione per produrre la proteina Spike utilizzata dal virus per entrare dentro le cellule - viene impacchettata all’interno di particelle lipidiche. Una volta che il vaccino è stato iniettato per via intramuscolare le particelle lipidiche veicolano l’mRNA all’interno delle cellule che lo utilizzano per produrre la proteina Spike. Questa a sua volta viene riconosciuta come estranea dal sistema immunitario dell’individuo vaccinato che genera anticorpi e cellule specifiche contro il virus. Nel vaccino di AstraZeneca, invece, l’informazione per produrre la proteina Spike viene introdotta nel vettore adenovirale (un virus innocuo non replicante) che veicola l’informazione all’interno delle cellule. Sarà così prodotta la Spike con la conseguente attivazione del sistema immunitario”. Quale vaccino è più facilmente adattabile alle varianti? “Da un punto di vista biochimico, i vaccini a mRNA sono quelli più semplici. Quanto più è semplice un vaccino tanto più sarà semplice modificarlo. Il vaccino a mRNA è completamente sintetico, per cui è, di fatto, quello più facilmente modificabile e adattabile alle nuove varianti. Anche i vaccini basati su adenovirus sono modificabili facilmente ma in tempi più lunghi”. Allo stato attuale la copertura immunitaria quanto dura? E soprattutto, una persona vaccinata è in grado di essere comunque infettiva o con la copertura vaccinale la carica del virus si alleggerisce? “Con i dati a disposizione si sa che gli anticorpi generati in seguito all’infezione naturale persistono per circa 6-9 mesi, ma al momento è troppo presto per fare delle stime su quanto tempo possano durare gli anticorpi generati in seguito alla vaccinazione. Stime non definitive suggeriscono che gli anticorpi indotti dal vaccino possano persistere per non più di un paio di anni. I dati certi sui vaccini ci dicono che questi sono in grado di proteggere dall’insorgenza della malattia e di ridurre la carica virale. Non ci sono dati certi che ci possano rassicurare sul fatto che un individuo vaccinato che sia venuto in contatto con il virus non possa trasmettere il virus anche se non sviluppa la malattia. In Israele, dove la campagna vaccinale ha raggiunto la quasi totalità della popolazione al di sopra dei 60 anni, dicono che i casi di COVID-19 così come di ospedalizzazione nella popolazione vaccinata sono scesi significativamente, con evidente alleggerimento del carico sulle terapie intensive. Questi risultati sono estremamente incoraggianti e soddisfano completamente le aspettative di medici e scienziati. Il vaccino è lo strumento più importante che abbiamo per controllare la diffusione del virus purché si continuino a seguire le regole igieniche e di distanziamento”.