Covid: "In Fiera novanta pazienti tra una settimana"/ VIDEO

La piccola Onu antivirus ha curato 70 persone in 20 giorni. Tra i 60 medici volontari da sette ospedali anche l’anestesista di Codogno

Nino Stocchetti, direttore della Neurorianimazione del Policlinico e del Padiglione Fiera

Nino Stocchetti, direttore della Neurorianimazione del Policlinico e del Padiglione Fiera

Milano, 13 novembre 2020 -  L’ospedale della Fiera ieri mattina aveva 57 malati di Covid in terapia intensiva e apriva il quinto modulo, gestito dal Civile di Brescia, con la prospettiva di aggiungere il sesto e il settimo (affidati ai privati Humanitas e San Raffale) e arrivare a 88 - 90 ricoverati alla fine della prossima settimana. Mercoledì il primo paziente della seconda ondata è stato trasferito dopo 20 giorni in rianimazione di cui 19 intubato, a testimonianza del fatto che "la malattia non è cambiata", chiarisce Nicola Bottino, responsabile del primo modulo gestito dal Policlinico, l’ospedale che ha anche la regìa del Portello. E sono arrivati tre medici dall’ospedale di Lodi, dove a marzo erano i colleghi milanesi ad andare in aiuto; una è Annalisa Malara, l’anestesista di Codogno che la sera del 20 febbraio, forzando i protocolli ministeriali e dell’Oms, scopriva il "paziente 1" salvando l’Italia dalla prima ondata del coronavirus.

E «mi fa arrabbiare» , dice Nino Stocchetti, direttore della Neurorianimazione del Policlinico e del Padiglione in Fiera, sentir parlare di personale "deportato": "Sono tutti volontari ed è lunga la lista" di chi chiede di lavorare in questa piccola Onu lombarda che al momento impiega 60 medici e 120/130 infermieri di sette diversi ospedali pubblici. Gente che al massimo tirava fiato in estate, mentre altri preferivano illudersi che la pandemia fosse finita e fosse stata uno spreco questa "scialuppa" aperta il 6 aprile, con 1.600 persone in terapia intensiva negli ospedali lombardi che avevano 800 posti di rianimazione un mese prima. "Da tre giorni per fortuna la situazione iniziava a migliorare - ricorda Stocchetti -, siamo stati derisi perché l’estintore non era più necessario".

Ma l’esperienza dei 17 pazienti curati in primavera è servita, sottolinea Bottino, quando il Portello è stato riaperto il 23 ottobre, e dopo tre giorni i ricoverati erano già una dozzina. In venti giorni ne son transitati circa 70; nove sono usciti dalla rianimazione (7 sono già in riabilitazione), quattro non ce l’hanno fatta e Stocchetti non s’illude che la mortalità (del 25% tra i 4mila lombardi in terapia intensiva nella fase 1) sia così bassa, "si vedrà solo alla fine". Dei pazienti, che ora arrivano soprattutto da Milano, Varese, Monza, Brescia, la grande maggioranza arriva intubata da un pronto soccorso. Metà ha meno di 64 anni e metà di più: l’età media, più bassa, è una delle differenze rispetto alla prima ondata.

L’altra è che "ad aprile avevamo circa cento medici e infermieri reclutati dalla protezione civile in tutt’Italia, perché a soffrire era la Lombardia. Adesso soffre tutta Italia e dobbiamo fare da soli". E anche se il Portello ha 161 letti estensibili a 221, anestesisti e infermieri d’area critica, che scarseggiavano in Italia già prima della pandemia, "non si possono moltiplicare". Così si trasferiscono da altri ospedali, e per non indebolirli troppo "invece di svuotarne uno o pochi la strategia è raccogliere piccoli contingenti da tante strutture". La piccola Onu ha anche dei vantaggi, perché la clinica "dice che i risultati sono migliori dove si cura un gran numero di pazienti per una patologia, e peggiori in ospedali sovraffollati dove si è costretti ad arrangiarsi". Non solo: "Lavorando insieme impariamo gli uni dagli altri".

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