Covid, la polemica: "I centri commerciali non sono di serie B"

Il segretario generale di Confcommercio spinge per la piena riapertura. Settore in crisi nera: a Sant’Ambrogio -50%

Manifestazione in Duomo contro il lockdown

Manifestazione in Duomo contro il lockdown

Milano, 10 dicembre 2020 -  «Noi siamo per il pluralismo distributivo: la piccola, media e grande distribuzione possono convivere, anche con il commercio online. E in quest’ottica i centri commerciali non devono essere penalizzati e discriminati". Fa questa premessa Marco Barbieri, segretario generale di Confcommercio Milano Lodi Monza e Brianza, prima di rilanciare al Governo la richiesta di una "auspicata" modifica al Dpcm che consentirebbe ai negozi nei centri commerciali di aprire anche nei giorni festivi e prefestivi, mettendoli così sullo stesso piano di quelli nelle vie dello shopping cittadine.

Che margini ci sono, secondo lei, per arrivare a un punto d’incontro? "La Lombardia è destinata a diventare zona gialla, e a quel punto servirebbe una modifica al Dpcm che tutti noi auspichiamo, anche se sarà difficile".

Le aperture dei centri commerciali sono state limitate con l’obiettivo di evitare assembramenti. "Mi sembra una motivazione che non regge, perché i negozi nei centri commerciali si sono attrezzati per rispettare le misure anti-contagi applicando in modo rigoroso i protocolli. Non si è mai visto un focolaio in un negozio, le attività che possono favorire la diffusione dei contagi sono altre. Alla base di queste decisioni c’è un concetto che secondo noi è totalmente sbagliato".

Quale? "Quello di creare servizi si serie A, che possono andare avanti, e servizi di serie B che invece si possono bloccare a piacimento. Bisognerebbe invece ragionare sul rispetto delle regole che sono state definite. Se un’attività è in grado di rispettare le regole deve poter rimanere aperta, in caso contrario deve chiudere. I negozi hanno dimostrato di saper rispettare, nella stragrande maggioranza dei casi, i protocolli. E hanno investito per adeguarsi".

I controlli sono piuttosto sporadici. "Questa è una questione fondamentale, perché se poni delle regole e poi non sei in grado di farle rispettare allora la strada più semplice diventa quella di chiudere tutto".

Qual è, in generale, il giudizio della vostra categoria sui provvedimenti presi dal Governo? "Secondo noi, di fronte a una crisi importante, ha cercato di trovare risposte semplici a problemi complessi, che richiedono quindi delle soluzioni complesse. Chiudere tutto è più semplice, ma poi ci si trova di fronte a un’economia disastrata".

Sono stati previsti, però, anche dei ristori per chi deve chiudere. "Ristori che per noi sono inadeguati, sia nelle quantità che nel tempo per riceverli".

In questo fine settimana, seguito da Sant’Ambrogio e dall’Immacolata, si sono registrati alcuni segnali di ripresa? "A livello di fatturato siamo ancora sotto del 50% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Il problema è che il sistema commerciale è tutto collegato. Se bar e ristoranti sono chiusi le persone escono di meno e quindi vanno meno nei negozi, anche se questi prolungano gli orari di apertura. Poi le persone hanno meno soldi in tasca da spendere, anche in una città come Milano".

La crisi ha già portato a un livello preoccupante di chiusure? "A settembre abbiamo calcolato che sul nostro territorio circa il 30% delle attività rischia di non superare il 2020. Vedremo a gennaio se queste previsioni fosche si saranno avverate. Siamo molto preoccupati".  

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro