"Così mostriamo il suo processo creativo"

Apre al pubblico e agli studenti l’archivio e centro di ricerca dello stilista, entrato nella costellazione del Politecnico con 150mila documenti

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di Simona Ballatore

"Mettere ordine all’archivio e chiudere le cose a chiave in un armadio sarebbe stato completamente inutile. Perché la natura stessa di Ferré era molto aperta, curiosa". Così Rita Airaghi, cugina, braccio destro dello stilista per tutta la vita, nonché direttrice generale della Fondazione che porta il suo nome (e la sua missione), mostra e spalanca al pubblico il “Centro di Ricerca Gianfranco Ferré“, entrato ufficialmente nella costellazione del Politecnico di Milano.

Via Tortona 37: nella sede progettata da Franco Raggi, amico e compagno di studi al Politecnico, è stato ricostruito anche il suo mondo. Ci sono oltre 150mila documenti, tra schizzi, 40mila fotografie e appunti. Tremila pezzi, tra abiti originali e accessori, per ripercorrere il processo produttivo. Anche le pareti rosse metalliche fanno parte del suo ambiente oltre ad essere funzionali: le aveva volute nel suo ufficio per attaccare con i magneti foto e progetti mentre lavorava. Ci sono i braccialetti e gli accessori che lo stilista portava a casa da ogni suo viaggio: appunti di creatività da India, Cina e Giappone per nuove collezioni. Ci sono i suoi disegni, da quelli geometrici a quelli che preparava con china, scolorina e punte d’argento (e pure frammenti di polaroid) prima di ogni sfilata: dietro c’è scritto il nome delle modelle e il numero delle uscite in passerella, “dentro“ ci sono le indicazioni di movimento, delle sensazioni che un capo avrebbe dovuto suscitare. Salendo le scale si svela il risultato finito, in tutta la sua bellezza: i capi escono a rotazione dal caveau (dove sono tenuti lontani da luce, umidità e a una temperatura costante e all’interno del quale possono entrare solo due persone) per raccontare lo stile Ferré in uno spazio che non è semplicemente celebrativo, ma divulgativo e di ricerca, che diventa “heritage” vivente.

L’archivio, riconosciuto patrimonio "di particolare interesse culturale" da parte del Ministero della Cultura - Soprintendenza Archivistica per la Lombardia, diventa infatti “base“ operativa per gli studenti e i ricercatori del dipartimento di Design, ma anche di Matematica, Meccanica e Tecnologia informatica. "Questa è una storia senza fine, proiettata verso il domani – spiega Paola Bertola, docente di Design del Politecnico e direttrice scientifica del “Centro di Ricerca Gianfranco Ferré –. È la memoria per il futuro. Un archivio in cui sperimentare e visualizzare nuovi modi di sviluppare prodotti moda, nuovi linguaggi, anche per dare l’opportunità al pubblico di fruire l’archivio stesso. Si fa ricerca, si fa didattica: si parte dall’opera e si viaggia a ritroso, per studiare la concezione architettonica dietro un vestito, come viene creato un movimento. Un’operazione di “ingegneria inversa”. E tra pochi mesi mostreremo il primo prototipo di questo lavoro".

C’è Emma Suh, studentessa del MIT, il Massachusetts Institute of Technology di Boston, al lavoro con i ricercatori del Politecnico sulla “giacca d’oro“ realizzata da Ferré nel 1988: la si analizza (per imprimere l’effetto d’oro Ferré bussò alle porte di un editore milanese che realizzava copertine dorate) e si crea un “gemello digitale“, si studia un nuovo modo di ri-materializzare i capi, che restano unici ma che diventano materia di studio continuo. Ci sarà anche una rappresentazione olografica dello stesso capo. Si uniranno intelligenza artificiale e artigianalità. Si sperimenterà nel segno di Ferré e del made in Italy: partner del centro di ricerca è TwinOne, un’azienda che opera nel campo del software in ambito visual

technology.

"Mi sembra di incontrarlo qui, facendo quello che avrebbe fatto lui, ricostruendo la sua mentalità – confessa Rita Airaghi –. Spesso mi domando se una cosa gli andrà bene. Faceva parte del rapporto dialettico. Non era facile lavorare con lui, pretendeva tantissimo dalle persone, ma era la persona più buona del mondo. Anche dopo una sfuriata appoggiava la mano sulla spalla: aiutava a trovare la soluzione. E aveva l’abitudine di mettere a disposizione dei giovani il suo sapere, senza gelosie. Abbiamo trasferito ai giovani quello che ha costruito. Come avrebbe fatto lui".

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