Coronavirus, il primario: "Scafandro e coraggio, ma non siamo eroi"

Il dottor Giovanni Battista Perego, primario dell’unità Covid all’Auxologico di Milano: "La nostra lotta al virus. Gli infermieri di notte non possono nemmeno andare in bagno"

Un reparto dove sono ricoverati i pazienti affetti da Covid-19

Un reparto dove sono ricoverati i pazienti affetti da Covid-19

Milano, 4 aprile 2020 - Il dottor Giovanni Battista Perego, 58 anni, ogni mattina parte da casa in bicicletta e va a lavorare all’Auxologico di Milano (Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico) del quale era, in tempo di pace, responsabile del pronto soccorso e dell’unità di terapia intensiva coronarica; ora, in tempo di guerra, è primario di qualcosa che prima non esisteva neanche nei pensieri: l’unità Covid. Ogni sera, dopo un’altra mezz’ora di bicicletta, arriva a casa e cena a fianco – non ’con’, a fianco – dei familiari. Guai però, a chiamarlo eroe. "Reclamo il diritto a non essere chiamato eroe – dice –. Questo è il nostro mestiere, in pace come in guerra".

Dottore, è cambiato tutto, vero? "Abbiamo cambiato l’ospedale in quattro giorni, da un giovedì a un lunedì. L’Auxologico prevedeva la degenza per la cardiologia e per la neurologia. L’abbiamo trasformato in un ospedale Covid con tre reparti: trentacinque posti letti per i pazienti che hanno bisogno di una semplice ossigenazione, altri trentacinque di terapia semi-intensiva, cioè con ventilazione ma senza intubare; infine tredici posti di terapia intensiva. Abbiamo chiuso il pronto soccorso e riceviamo i pazienti che ci mandano dall’esterno. L’intero piano terra è stato trasformato in una gigantesca zona filtro, che consente di entrare ’puliti’ e riuscirne ’puliti’".

Avete avuto problemi di contagio in ospedale? "All’inizio, prima di questa riorganizzazione, alcuni sanitari sono rimasti contagiati. Dopo, zero".

Come comincia la sua giornata di lavoro? "Con la vestizione. Un’operazione delicata e necessaria".

Molti medici lamentano di aver lavorato senza le protezioni necessarie. "Non qui. C’è stata una fase iniziale in cui, seguendo le linee dell’Oms, usavamo le mascherine chirurgiche, che non sono sufficienti a proteggerci. Adesso abbiamo tutti le FFP2 e FFP3. E nei reparti siamo tutti sotto uno scafandro".

Com’è la vota sotto uno scafandro? "Non bella. Lo dico soprattutto per gli infermieri che fanno il turno di notte. Nove ore senza bere e senza andare in bagno, perché il sistema di protezione deve restare integro".

Voi lavorate anche nella ricerca. Tutto il mondo vi chiede il miracolo. A che punto siete? "Tutto il mondo ci sta lavorando. Noi ci occupiamo soprattutto degli effetti che il Covid ha sul cuore e sul sistema nervoso centrale: ipotizziamo che condizioni i ‘comandi’ che il cervello dà sulla respirazione".

E sui farmaci? "Terapie risolutive ancore non ce sono. Ma si comincia a fare un po’ di ordine tra i farmaci che hanno un’efficacia. Per il momento il progresso principale è nell’accompagnare i pazienti nella respirazione, per permettere poi loro di guarire da soli".

Quando troveremo una cura? "Credo che tra due o tre mesi avremo le idee più chiare. Stiamo scoprendo alcune cose passo dopo passo. Ad esempio il ruolo degli anticoagulanti. Ad esempio gli studi sugli anticorpi. Ad esempio la possibilità di far somministrare un farmaco come il Plaquenil, che prima veniva dato solo in ospedale, anche ai pazienti curati a casa".

Dottore, questo virus, e lo dico da profano ovviamente, pare un mostro molto strano. A molti non fa nulla, a tanti fa poco, ad alcuni fa molto male, altri li ammazza. È così? "È così".

Cos’altro avete capito, dopo un mese e mezzo? "Che il contagio viene molto spesso dagli asintomatici. E che quindi bisogna proteggersi da tutti. Abbiamo capito che è pericoloso soprattutto per gli anziani, e che fattori di rischio sono il sovrappeso (più di quanto non si si dica di solito), l’ipertensione, il diabete. Abbiamo capito che le donne sono più protette".

È vero che ci sono casi fulminanti? Morti dopo uno o due giorni dai primi sintomi? "Io casi così non ne ho visti. Più frequente che i primi sintomi vengano sottovalutati, e che si arrivi in ospedale quando la situazione è già compromessa".

Le misure di chiusura sono utili? "Certo. E’stato importantissimo chiudere le scuole. I piccoli non si accorgono di essere infetti e possono contagiare molte persone. Quando poi si comincerà a riaprire, occorrerà molta, molta prudenza per evitare una seconda ondata che potrebbe essere pesantissima. Siamo ben lontani dall’avere un’immunità di gregge. Bisognerà ripartire per gradi e con un nuovo modo di concepire le relazioni. E bisognerà prepararsi dal punto di vista sanitario. Soprattutto investendo sulla telemedicina: ormai abbiamo strumenti che ci permettono di monitorare i pazienti curati a casa".

È vero che ci sono segnali di frenata del virus? O ci illudiamo? "È vero. Il numero degli accessi per problemi respiratori si è nettamente ridotto. Un bel segnale lo avremo quando ci saranno posti liberi nelle terapie intensive".

Dottore, quando finirà? "Reclamo anche il diritto di non dire stupidaggini".