Coronavirus, il campione milanese Maxime Mbandà: dalla nazionale di rugby alle ambulanze

"Quando è esplosa l’emergenza non ci ho pensato due volte"

 Maxime Mbandà

Maxime Mbandà

Milano, 25 marzo 2020 - Maxime Mbandà scende in campo contro il coronavirus. Il flanker delle Zebre e della nazionale italiana di rugby in questi giorni è in prima linea per aiutare le persone in difficoltà. Nato a Roma, a tre anni si è trasferito all’ombra della Madonnina, dove ha iniziato a giocare nelle giovanili dell’Amatori Milano e poi nella Grande Milano. Tante soddisfazioni, l’ingaggio al Calvisano con due scudetti consecutivi e un trofeo Eccellenza. Dal 2016 gioca nelle Zebre di Parma e a giugno dello stesso anno ha debuttato con la Nazionale contro gli Stati Uniti a San José. Da quella partita è una presenza fissa nel pacchetto di mischia. Ora, a campionati fermi, il 26enne studente all’ultimo anno in Scienze Motorie ha deciso di aiutare la sua comunità.

Quando ha scelto di fare il volontario?

"Ero a Roma, stavamo preparando la partita contro l’Inghilterra quando, a causa dell’emergenza, ci hanno rimandati a casa. Mi sono chiesto: “Come posso aiutare la comunità pur senza avere competenze sanitarie? Facendo ricerche ho trovato l’annuncio della Croce Gialla a Parma. Dovevo occuparmi di portare medicine e cibo agli anziani".

E poi?

"Dopo il primo giorno mi hanno chiesto se volessi trasferire pazienti positivi al coronavirus da un ospedale all’altro per facilitare il lavoro di medici e accompagnarli a casa, una volta guariti".

Primo incontro col Covid-19?

"Impossibile dire di non avere paura di un nemico invisibile. Ogni volta che trasportiamo un paziente abbiamo i brividi alla schiena, ma questo non ci blocca. Il primo che ho trasportato era un paziente guarito, i suoi racconti però mi hanno fatto venire i brividi: dopo tre ore che era arrivato in ospedale il suo compagno di stanza è morto e nella prima notte altre due donne se ne sono andate, vicino a lui. Dobbiamo farci forza e fidarci degli operatori sanitari".

Si sente un eroe?

"Assolutamente no, faccio questo anche per questione di principio. Un domani, quando anch’io sarò in difficoltà, mi aspetto che qualche giovane agisca come sto facendo io. Il mio lavoro è nulla rispetto a quello che fanno medici e infermieri".

Rugby e volontariato, una congiunzione perfetta…

"Sì, nel rugby si corre in avanti ma si passa la palla indietro. Ci fa capire che nelle difficoltà possiamo andare avanti facendo qualche centimetro indietro, ma arrivando alla meta. Nella vita e nello sport bisogna tirarsi su le maniche, per tornare più forti. Oggi basta stare a casa".

Una situazione surreale, chi l’avrebbe mai immaginato…

"Fino a un mese fa non avrei mai pensato di dovermi vestire così per andare al lavoro. Tutti noi giovani abbiamo solo studiato sui libri le guerre. Questa è una guerra però contro un nemico invisibile, le nostre armi sono i dottori e la scienza. Sono ottimista, insieme ne usciremo".

Con gli allenamenti come fa?

Continuo rigorosamente da casa, al mattino prima di entrare in servizio e la sera finito il turno".

Un messaggio ai giovani?

"Se non vivete con anziani o immunodepressi, cercate qualcuno che ha bisogno, vi assicuro che ci sono tantissime persone in difficoltà. Facciamoci forza, è la nostra partita: la vinceremo".  

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