Coronavirus, "A New York e Madrid tasso mortalità più alto di Lombardia"

Studio del San Raffaele sulle aree metropolitane. Per i ricercatori determinante il fatto che la diffusione di Covid-19 abbia investito meno Milano città ma più aree limitrofe

Sanificazione della Galleria di Milano

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Milano, 17 aprile 2020 - Fra le aree metropolitane investite dall'epidemia di Coronavirus la Lombardia a un mese dall'emergenza ha avuto un tasso di mortalità in rapporto agli abitanti sotto la media, la metà di quello di New York. È uno dei risultati preliminari di uno studio dell'Università Vita-Salute San Raffaele.

Dallo studio emerge che i tassi cumulativi di mortalità più alti a 30 giorni dall'inizio dell'epidemia sono stati registrati a New York (81,2 x 100.000) e Madrid (77,1 x100.000) mentre la Lombardia (41,4 per 100.000) è al quarto posto e sotto la media. Bruxelles è al 48,6, mentre Parigi al 26,9 e la Greater London al 23.

L'indagine dei ricercatori di Igiene e Sanità pubblica ha preso in esame sei aree omogenee per numero di abitanti, spostamenti e traffico commerciale: New York (8,6 milioni di abitanti), la regione di Parigi, l'žle-de-France (12,3 milioni), la Greater London (9,3 milioni), l'area di Bruxelles-Capital (1,2 milioni), la Comunidad autonoma di Madrid (6,6 milioni) e la Lombardia (10 milioni).

"Il nostro lavoro evidenzia come si sia imposto un 'falso mito' che attribuisce alla Lombardia un eccesso di mortalità da Covid-19" ha sottolineato Carlo Signorelli, ordinario di Igiene e Salute Pubblica dell'Università Vita-Salute San Raffaele e primo autore dello studio. Il fatto che la regione sia quarta è dovuto anche grazie al fatto che l'epidemia ha investito meno Milano città ma più aree limitrofe.

Secondo la ricerca, due fattori "che hanno contribuito positivamente a 'difendere' l'area metropolitana sono da un lato"l'efficacia e la tempestività dei provvedimenti di contenimento e mitigazione"; dall'altro l'efficacia e la sicurezza delle cure per i pazienti Covid-19. "In tutto il mondo gli ambiti sanitari sono stati i maggiori propulsori di questa epidemia ma nell'area milanese - è una delle conclusioni - gli ospedali non hanno per fortuna sino ad ora svolto la funzione di moltiplicatore di casi come invece è accaduto in realtà ospedaliere di piccole dimensioni e a bassa densità di cura".

Un altro elemento da valutare, secondo i ricercatori, è anche "l'incremento generalizzato, in breve tempo, di posti letto anche di terapia intensiva verificatasi in tutte le aree considerate, e che ha consentito di far fronte all'emergenza; spicca il fatto che la Lombardia (come la Regione autonoma di Madrid e a Il-de-France) ha più che raddoppiato sia il posti letto ordinari che quelli di terapia intensiva. E che infine le due realtà con sistemi sanitari a base pubblica (Italia e Regno Unito) abbiamo da un lato avuto tassi di mortalità sotto la media, intrapreso accordi formali e riportati nei rapporti ufficiali con la componente ospedaliera privatistica che risulta aver quindi dato un apporto importante alla gestione dell'emergenza".

"Questi dati dicono che non esiste un «caso Lombardia» quanto ad eccesso di mortalità e che il rapido adeguamento della rete ospedaliera, unito alle accortezze osservate dai cittadini e ai lock down imposti dalle istituzioni, ha saputo limitare la diffusione dell'epidemia nell'area a più alta densità abitativa" è la conclusione di Signorelli.

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