Coronavirus, decessi raddoppiati nella case di riposo milanesi

Dal 20 febbraio al 31 marzo morti 337 ospiti. L’Ats: nello stesso periodo dell’anno scorso erano la metà

La rsa Virgilio Ferrari in via dei Panigarola nel quartiere Corvetto

La rsa Virgilio Ferrari in via dei Panigarola nel quartiere Corvetto

Milano, 9 aprile 2020 - Tra presunti e accertati sono 983 i casi di contagio da coronavirus registrati nelle 59 Residenze Sanitarie per Anziani (RSA) di Milano dal 20 febbraio al 31 marzo di quest’anno. Un numero che equivale al 14% degli ospiti delle stesse RSA, se è vero che questi sono 7.238. I decessi verificatisi nello stesso periodo di tempo e legati a patologie correlabili al Coronavirus o in odore di Coronavirus sono 337, pari al 5% dei presenti.

Dati riferiti ieri a Palazzo Marino da Walter Bergamaschi, direttore generale dell’Agenzia di Tutela della Salute (ATS) di Milano, nel corso di una seduta congiunta delle commissioni Affari Istituzionali e Politiche sociali del Comune. Dati che rappresentano una media: quanto ai contagi, ad esempio, un terzo delle strutture non ne ha segnalato alcuno, mentre in altre si è arrivati ad avere sospetti o certezze sul 30% degli anziani ospitati. Quanto ai decessi è lo stesso Bergamaschi a riconoscere che c’è stato un picco: «Se andassimo a verificare il numero di morti registrato nelle stesse strutture nello stesso periodo dell’anno scorso, probabilmente troveremmo che nel 2019 i decessi erano la metà». «All’interno dei decessi – spiega ancora Bergamaschi – noi abbiamo un dato secondo il quale il 42% è deceduto nelle Rsa per patologie non riferibili al Coronavirus, mentre il 58% è avvenuto per patologie in qualche modo riferibili al Coronavirus».  Non è finita, c’è anche il fronte del personale in servizio nelle Residenze per Anziani, che risulta per il 25% in malattia: «In media – fa sapere sempre il direttore dell’ATS Milano – un quarto degli operatori è assente per malattia». E anche su questo dato c’è «una variabilità significativa: in alcune RSA non ci sono assenti e in altre è assente metà del personale».

Da capire se tra quelle malattie rientrino casi di Coronavirus e quanti. Bergamaschi annuncia poi il ricorso ad un infettivologo che sarà a disposizione delle RSA ma on line. E torna sulla delibera approvata l’8 marzo dalla Regione che ha consentito alle Residenze per Anziani di ospitare pazienti positivi al Coronavirus: «Non è mai successo che un paziente Covid sia stato messo in una RSA senza che questa abbia dato la disponibilità e condiviso l’accettazione di quel paziente – precisa il direttore generale dell’ATS Milano–. Il canale delle Rsa in Lombardia è stato usato marginalmente nella gestione dei pazienti Covid. Il Pio Albergo Trivulzio che faceva da centrale unica regionale per far incontrare domanda e offerta ha trovato posto per oltre duemila pazienti in queste settimane e sono circa 150 i pazienti che sono stati inseriti all’interno di RSA che avevano le caratteristiche adatte e che hanno dato l’adesione». Uno dei requisiti richiesti alle RSA era di avere strutture totalmente separate per ospitare i pazienti positivi al Coronavirus. «In nessun caso un paziente Covid è entrato nelle RSA in ambiti in cui non c’erano pazienti Covid separati dagli altri ed è anche offensivo pensarlo – scandisce Bergamaschi –. Le RSA hanno dato un contributo limitato all’accoglienza di questi pazienti. Non ci sono state in nessun caso commistioni». E a tal proposito ieri la direzione del Pio Albergo Trivulzio ha precisato di non aver mai accolto «nessun paziente positivo al Coronavirus, proveniente dai nosocomi lombardi». «Sono stati accolti – si sottolinea nella nota – solo pazienti dimessi da ospedali che li hanno dichiarati come No-Covid al 13 marzo 2020. Il giorno 9 con l’entrata in vigore della delibera regionale, è stato infatti l’ultimo giorno di accettazione di pazienti dal domicilio. Il 13 è stato l’ultimo giorno di accettazione di pazienti provenienti dagli ospedali. I giorni 12 e 13 sono stati accettati 19 pazienti dall’ospedale di Sesto San Giovanni, reparto di medicina, che era dichiarato dalla propria Direzione Sanitaria ospedale No Covid. Il PAT ha proceduto in coerenza con le linee guida e le disposizioni governative, dell’OMS, dell’ISS, di Regione Lombardia e di ATS». 

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