Fase 2, asili nidi privati: si rischia la chiusura di massa

Strutture in serrata obbligatoria: il 40% potrebbe non riaprire più. L’operatrice: "Situazione drammatica che favorisce l’abusivismo"

Anna Podestà

Anna Podestà

Milani, 21 maggio 2020 -  Aprono oratori , centri estivi, agriturismi e fattorie didattiche, si adattano cortili di scuole e parchi pubblici. E i nidi privati? Dimenticati. E "queste non decisioni da parte del Governo creeranno un sottobosco di abusivismo, soluzioni campate per aria che nascono per istinto di sopravvivenza".

Anna Podestà ha due strutture, una immersa nel verde della Brianza, a Lesmo, una in centro a Milano, in corso Italia. L’emergenza sanitaria e il lockdown le hanno tolto il sonno. "La situazione che stiamo vivendo tutti noi titolari di asili nido è drammatica", il grido d’allarme. In Lombardia gli asili privati che accolgono bimbi fino a 3 anni di età coprono il 72% dell’offerta del territorio, ma con l’emergenza Covid c’è il rischio concreto che circa il 40% delle strutture non riuscirà a riaprire: "Prima dell’emergenza avevo una quarantina di bambini, ora ne sono rimasti iscritti 12". "Siamo chiusi dal 20 di febbraio e da allora non abbiamo ricevuto aiuti da nessuno, né dal Governo né dalla Regione e tantomeno dai Comuni – chiarisce Podestà -. Ma le bollette e le spese per gli affitti sono continuate ad arrivare. Soltanto per l’asilo di Milano ogni mese pago 6mila euro di locazione, senza alcuna possibilità di avere sconti o sospensioni". Allo stesso tempo, poi, "da quando abbiamo chiuso sono state bloccate tutte le richieste di pagamento delle rette alle famiglie, mentre abbiamo restituito i soldi a chi magari aveva già pagato tutto l’anno. E noi viviamo di quello, non siamo certo attività che hanno guadagni esorbitanti: mediamente i titolari di asili con circa trenta bambini arrivano a una stipendio mensile di 1.500 euro netti, non certo di più".

Ma adesso è tutto fermo. E per le educatrici la cassa integrazione (che peraltro in molti casi non è ancora arrivata) finisce il 30 maggio, al più tardi i primi di giugno: "E poi cosa succederà? - il pensiero di Podestà -. Oltretutto non possiamo licenziare, non possiamo fallire e non avremmo neanche i soldi per chiudere". Il risultato è che "ci sono colleghe di strutture piccole che hanno ceduto alle proposte di imprese del settore con una capacità economica ben maggiore e svenduto la loro attività". Perché la ripartenza è difficile. Per tornare a regime con i conti servirebbero due anni e mezzo se a settembre si potesse tornare alla situazione prima del lockdown. Troppi. "Io per cercare di resistere e non chiudere sto usando i risparmi che avevo messo da parte per i miei figli – la speranza di Anna -. In questi ultimi tre mesi sto vedendo svanire vent’anni di lavoro e sacrifici". E "l’aspetto sconcertante è che proprio in questo periodo di emergenza sociale non è stato preso minimamente in considerazione il ruolo sociale degli asili nido". Ma poi, "perché un nido non può riaprire quando l’ultimo mese di ogni “anno scolastico“ è organizzato come centro estivo?".

Secondo Podestà "dovrebbero darci la possibilità di scegliere. Anche se i rapporti tra bambini ed educatori ora sono molto più bassi (un educatore non più per 8 bambini ma per 3 nella fascia di età fino a 3 anni; un e ducatore ogni 5 bambini e non più ogni 15 fra i 3 e i 6 anni, ndr ) e in tanti casi si rischia di non riuscire a rientrare delle spese, la scelta dovrebbe essere lasciata al singolo titolare. Questo obbligo di chiusura ci sta mettendo in ginocchio". Peraltro, "sono convinta che un genitore possa essere comunque più sereno sapendo che il proprio figlio viene accudito da personale qualificato in una struttura controllata e sanificata, seguendo un percorso educativo, piuttosto che mandandolo in un parco pubblico che chissà da chi è stato frequentato nella notte".

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