Coronavirus, i pronto soccorso sono già tornati in trincea

Il boom di pazienti Covid meno gravi mette sotto pressione gli ospedali della città. L’appello di un infermiere: venite solo per le urgenze

Un’immagine dalla mostra #Covid-19@storiedisperanza

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Milano, 18 ottobre 2020 - La seconda ondata l’avvista sempre chi sta in prima linea; quella vera, così meno patinata delle serie televisive. L’allerta sovraffollamento che governa le scelte delle ambulanze dell’Areu ieri s’è mossa a macchia di leopardo tra i pronto soccorso dell’area metropolitana: intorno a mezzogiorno Fatebenefratelli, San Raffaele, Humanitas, Sacco, San Paolo e Policlinico risultavano a saturazione, con "un numero elevato di pazienti Covid in Ps". Ma il "fate presto" arriva soprattutto dai pronto soccorso della periferia della metropoli, quelli più gettonati da chi si presenta autonomamente in ospedale. "Già dallo scorso weekend stiamo intercettando molti positivi tra pazienti “insospettabili”, cioè arrivati per altre patologie, coi tamponi che si fanno prima del ricovero", spiega un infermiere di area critica del San Carlo che sino al 5 ottobre, quando ha aperto sei letti di rianimazione già tutti pieni, era tecnicamente un ospedale “Covid-free”. I sospetti Corona erano dirottati al San Paolo, l’altro ospedale dell’Asst, che aveva tenuto 30 posti Covid agli Infettivi e ora, spiegano dall’azienda, li ha quasi triplicati convertendo in “Corona” la Pneumologia e la Medicina 1.

A metà della scorsa settimana (proprio mentre arrivavano i bagni chimici a servizio delle code ai drive-in tamponi) anche al San Carlo ha aperto un reparto Covid da venti letti. E questo, spiega al Giorno l’infermiere, "ha un po’ mitigato il problema di pazienti che restavano in pronto soccorso anche dei giorni". Non quello di dover gestire 50, 60 accessi anche di notte, incastrando un tetris per tenere a distanza gli infetti dai “puliti” dai “grigi” in attesa di tampone. Un problema che non c’era a marzo, "quando i malati di Covid erano più gravi e compromessi e però col lockdown c’erano meno incidenti, meno accoltellati", e l’assetto “di guerra” dirottava le urgenze non-Covid su 18 ospedali-hub.

Ora il virus torna a prendere in contropiede, con un’invasione di malati meno gravi, “gialli” e “verdi”, ospedali ancora in gran parte in assetto “da tregua”, col personale concentrato sulla chirurgia programmata e le altre attività da recuperare, tanto che Isa Guarneri, segretaria della Fp Cgil di Milano-comparto Sanità, lunedì scriveva alla direzione dell’Asst dei Santi segnalando come l’area critica patisse "la mancata sostituzione dei colleghi cessati per pensionamento, mobilità e maternità" e la "forse precoce riapertura di tutti i reparti nel periodo estivo".

Alcuni ospedali hanno riserve mai smantellate, come il Policlinico che nell’ultima settimana ha raddoppiato i ricoveri per Covid ma ha una terapia intensiva Corona di 14 letti occupata per metà, e 60 posti dedicati al Padiglione Sacco; ma la sensazione di rincorsa non risparmia il Sacco ospedale, presidio simbolo della lotta al coronavirus in città che già a metà settimana aveva sfondato quota cento ricoverati per Covid e dovuto dirottare l’accettazione di pazienti negativi diretti alla Pneumologia e ad altre specialità verso altri ospedali: "Sono passato dal Ps, l’astanteria era piena con parecchie persone in CPAP", si sfoga un lavoratore le cui parole sono state raccolte dal sindacato Fials.

«Sapevamo che sarebbe accaduto, una sola idea ci permetteva di non vacillare ed era che stavolta saremmo stati pronti", ma "gli ospedali milanesi e dell’hinterland sono già sovraccarichi, i pronto soccorso tra la gestione di pazienti positivi e non sono al collasso e i reparti Covid riaprono non senza problemi – denuncia Mimma Sternativo, segretaria della Fials Area Metropolitana –. È inconcepibile che si debba fare ancora una volta appello alla sola “buona volontà” e resilienza" dei lavoratori. L’infermiere del San Carlo, il suo appello lo rivolge anche ai milanesi: "Le persone soprattutto in un momento come questo non dovrebbero abusare del pronto soccorso, che è fatto per le urgenze. E la medicina del territorio deve fare la sua parte: negli ospedali non possiamo fare il medico di famiglia di tutta Milano".  

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