Coronavirus, odissea per il tampone: "Sono guarito ma non posso tornare in ufficio"

Senza test nessun via libera. Il datore di lavoro protesta: pronti a ripartire ma questa burocrazia ci soffoca

Il presidente della società Studio3A-Valore Ermes Trovò ha scritto alla Regione Lombardia

Il presidente della società Studio3A-Valore Ermes Trovò ha scritto alla Regione Lombardia

Milano, 26 maggio 2020 - Ha perso il padre a causa del coronavirus, ha vinto la battaglia contro la malattia dopo essere rimasto contagiato e ora sta lottando per poter tornare al lavoro. Un’odissea per fare il tampone e ottenere il via libera al rientro vissuta da un 48enne milanese in malattia “forzata“, dipendente della società di Venezia Studio3A-Valore Spa che si occupa di risarcimento danni in particolare in casi di incidenti stradali, infortuni sul lavoro e malasanità. "Abbiamo messo in sicurezza tutta l’azienda – spiega il presidente, Ermes Trovò, che ha inviato anche una lettera di protesta alla Regione Lombardia - e vogliamo ripartire. In questo caso, la terrificante burocrazia costringe un nostro dipendente, peraltro già duramente segnato dalla pandemia, a non riprendere il lavoro. Semplicemente assurdo".

Lo scorso 5 marzo il padre del 48enne è morto all’ospedale Niguarda, ucciso dal coronavirus all’età di 89 anni. "Abbiamo chiesto di poterci sottoporre al tampone – racconta l’uomo – ma ci hanno detto di tornare a casa e di attendere la chiamata dell’Ats. Chiamata che non è mai arrivata". Nel frattempo la famiglia si è chiusa in casa, e tutti hanno iniziato ad accusare i sintomi del virus. L’Ats ha risposto a una delle email obiettando che "nelle nostre condizioni non è necessario" il tampone.

Una settimana dopo anche il cognato viene trasportato d’urgenza all’ospedale, dove resta per due settimane intubato e in grave pericolo di vita. Lui e la sorella restano a casa, con più di una settimana di febbre a 39 nonostante gli antipiretici e altre tre di alterazione meno forte. L’anziana mamma, anche lei contagiata, passa giorni attaccata alla bombola dell’ossigeno. "L’Ats ci ha chiamato un paio di volte per informarsi sulle nostre condizioni – prosegue – ma non ci hanno mai fatto fare il tampone". Il 48enne e i suoi familiari, infine, vincono la battaglia contro la malattia. L’uomo dopo il lockdown vorrebbe tornare al lavoro ma il medico, a fronte del fatto che il dipendente ha chiaramente contratto il virus, richiede. per riammetterlo al lavoro, il test del tampone. E qui si apre un’altra vicenda kafkiana. "Nonostante la Regione abbia introdotto la possibilità di realizzare i test anche nei laboratori privati, a pagamento, la procedura non è per nulla semplice e, soprattutto, bisogna prima sottoporsi al test sierologico – spiega il 48enne –. Solo in caso di positività, che nello specifico è pacifica, si può richiedere il tampone". L’appuntamento per il test sierologico, infine, è stato fissato per il 5 giugno. Poi bisognerà fare il tampone e attendere l’esito. Intanto l’uomo resta a casa, in malattia nonostante sia guarito.  

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