Coronavirus, contagio al lavoro: risarcimento impossibile

Difficilissimo accertare l’origine del l’infezione, beffa per le famiglie. Morti due metalmeccanici: li ricordiamo lottando per la salute

Roberta Turi della Fiom

Roberta Turi della Fiom

Milano, 1 aprile 2020 - La formula è "infortunio sul lavoro da causa virulenta", il contagio da coronavirus "in occasione di lavoro" è equiparato a un incidente e pertanto indennizzabile dall’Inail. Ma, all’atto pratico, il risarcimento rischia di rimanere solo sulla carta, ad eccezione dei settori come quello della sanità dove è più facile dimostrare l’origine dell’infezione. Un “liberi tutti“ anche per quelle aziende che per giorni hanno ignorato le misure di sicurezza, favorendo il diffondersi del virus. "Siamo di fronte a un fenomeno talmente grande e senza precedenti – spiega la segretaria generale della Fiom-Cgil di Milano, Roberta Turi – che è difficilissimo riconoscere l’infortunio. C’è qualche certezza solo sul personale sanitario, per il resto è una grande incognita. Si può dimostrare se sono state applicate o meno le misure di protezione, ma non l’origine del contagio". È quasi impossibile accertare senza ombra di dubbio e ad eccezione di casi estremi, infatti, se il virus sia stato contratto al lavoro, in famiglia oppure in altre occasioni. A questo si aggiunge anche, sull’onda della crescita dei contagi e dei decessi, l’enorme mole di accertamenti che l’Inail sarebbe chiamata a svolgere. Una missione impossibile stabilire se c’è il diritto o meno al risarcimento.  "Il risultato – prosegue Turi – è che alle famiglie viene a mancare anche questa boccata d’ossigeno".

Una delle tante incognite di un’emergenza che ha provocato un terremoto anche nel mondo del lavoro. Intanto il settore metalmeccanico milanese piange due vittime, entrambi 50enni: Andrea Cuomo e Massimo Dominici. E, anche in questo caso, è difficile accertare l’origine dell’infezione. Andrea Cuomo lavorava per il colosso dell’energia Engie, con quartier generale italiano a Milano, e nel tempo libero faceva volontariato nella Croce Rossa di Sesto San Giovanni, la sua città. Lavorava nel Comune di Limbiate, dove la multinazionale ha in appalto il servizio di manutenzione delle centrali termiche. "Quando ha iniziato ad avere la febbre – racconta Stefano Bassi, collega e delegato sindacale Fiom – si è fatto subito ricoverare in ospedale per proteggere l’anziano padre, che viveva con lui. Le sue condizioni sono peggiorate fino a quando è stato intubato e, sabato mattina, è deceduto. In questo momento l’azienda, che sul territorio conta tremila dipendenti, è chiusa e la maggior parte di noi sta lavorando in smart working, uscendo solo per le emergenze". I delegati sindacali Engie, dopo la tragedia, hanno messo nero su bianco il loro appello: "Per tutti noi è fondamentale che ci debba essere il rispetto più totale del diritto alla vita, alla salute e alla sicurezza della persona. Questo triste evento legato alla pandemia non può essere descritto come una fatalità o, peggio ancora, come una eventualità del nostro lavoro. Noi tutti dobbiamo sapere e dire che senza le protezioni adeguate “nessuno deve lavorare”, senza i Dpi non esiste né emergenza né pronto intervento".

Messaggi di cordoglio anche per la scomparsa di Massimo Dominici. Il 50enne lavorava nel reparto commerciale della Rcs Thales Italia di Gorgonzola, azienda del settore dei trasporti, difesa e aerospazio che per le sue attività è esclusa dalla stretta alle attività produttive. E in alcune delle aziende “no stop“, denunciano i sindacati, i problemi non mancano. Una decina di piccole imprese metalmeccaniche sono finite in un elenco che i sindacati hanno consegnato al prefetto di Milano, denunciando quelle ditte che, "in base alle informazioni in nostro possesso, non stanno rispettando il “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro” o che dichiarano di voler proseguire l’attività in quanto legate alle filiere “essenziali”, ma che riteniamo siano legate a quelle attività solo in modo marginale". Per una di queste, che opera nel settore degli ascensori, sarebbe già stata disposta la chiusura. "In tutto questo c’è anche una responsabilità dei committenti che le mettono sotto pressione – conclude Turi – anche con il ricatto delle penali da pagare se non vengono soddisfatti gli ordini".  

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