Aggressioni con l'acido, sfigurato per errore di persona: "Sono sereno, la vita va avanti"

Savi: «In aula ci siamo guardati. Erano indifferenti come sempre» di MARINELLA ROSSI

Stefano Savi fu aggredito secondo gli inquirenti dalla coppia dell'acido per uno scambio di persona

Stefano Savi fu aggredito secondo gli inquirenti dalla coppia dell'acido per uno scambio di persona

Milano, 14 gennaio 2016 - «C’è una lezione, vale per me e per tutti: la vita è imprevedibile. Non sai mai quel che ti aspetta. Però è molto bella e bisogna viverla al meglio. Mai smetter di lottare».

Lei, Stefano Savi, quanto sia imprevedibile, lo ha scolpito sulla pelle. Il ragazzo colpito da una secchiata d’acido per uno sbaglio di persona. Il ragazzo che per mesi non immaginava i motivi di una così atroce punizione e i volti di chi lo potesse odiare tanto. Oggi c’è una sentenza che li riconosce, quei volti. «Due condanne che eliminano le incertezze. Non le mie. Per me ormai era tutto chiaro, per gli altri forse no. Prima si brancolava nel buio, ora non più. Oggi io sono soddisfatto, sereno. Li ho guardati, Martina Levato e Andrea Magnani, mi hanno guardato. Senza espressione: indifferenti. Come sempre. Come le altre volte».

E lei, invece? «I miei sentimenti? Un po’ di rabbia. E un po’ di pena. Si sono rovinati da soli. Io avevo la mia vita, tranquilla. Ma anche loro avevano una vita normale, e con questa follia si sono rovinati».

Non come hanno rovinato lei. «È vero. Ma penso che questa condanna sia giusta. Anche se non posso negare che sarei stato più contento se gli fossero stati inflitti più anni. Magnani è stato l’unico collaborativo, l’unico che ha raccontato almeno in parte come sono andati i fatti. Non lo giustifico e non lo perdono, ma almeno è il solo, fra i tre, che ha fatto un parziale esame di coscienza. Magari lo avrà fatto anche solo per salvarsi. Però lo ha fatto».

Ora la sua vita come continua? «In casa, soprattutto, moltissime ore con in faccia una maschera di ricostituzione della pelle. Più tempo la si tiene e meglio è. Ascolto musica, guardo film, e aspetto».

Cosa aspetta? «La prossima operazione, la numero sedici. Tra gennaio e febbraio. Laser, poi dovrei cominciare a risistemare il labbro superiore. E poi la vista».

Sono interventi dolorosi? «Rispetto agli altri, a quelli già fatti, no. Ormai sono un po’ abituato».

La sua prima uscita da casa, dopo mesi, fu, per andare in tribunale. Si presentò con i suoi avvocati, Andrea Orabona e Benedetta Maggioni, nell’ufficio del pm Marcello Musso, per scendere in aula, all’udienza contro Boettcher. Cosa l’ha fatta venire allo scoperto? «Una sfida con me stesso, perché la vita va avanti. E poi il grande desiderio di tornare alla normalità. Da lì, da quell’uscita, sentirsi più sicuro».

E pensare al futuro. «Sognare di tornare a viver come tutti, e un lavoro, dopo le operazioni all’occhio che mi terranno fuori gioco per qualche mese, nell’ambito commerciale ed edilizio».

Nel frattempo non è solo, non lo è mai stato. Uno dei suoi amici, da quel terribile 2 novembre, non ha mai mancato una vista. «Si (sorride, Stefano, ndr). Mio padre Alberto, la mia famiglia. I miei amici sono la mia forza. E io. Sono fortunato. I miei amici: non smetterò mai di ringraziarli. Averli vicini è la salvezza».

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