"Mi porteranno via mio figlio". Ora è smarrito l’uomo dell’acido

Dopo la condanna a 23 anni la partita dell’affido: se vorrà lo vedrò ventenne di MARINELLA ROSSI

Alexander Boettcher

Alexander Boettcher

Milano, 1 aprile 2016 - «E adesso mi porteranno via anche mio figlio». Che «rivedrò, forse, tra venti anni». Se, tra oltre venti anni, e se mai davvero il piccolo fosse dichiarato adottabile, quello che sarà un ragazzo ormai 25enne decidesse di sapere chi sono i suoi veri genitori. I muri di San Vittore non fanno scudo all’angoscia e alle parole di Alexander Boettcher, su cui è piombata addosso la seconda condanna a 23 anni per le altre aggressioni con l’acido, dopo quella di 14 per l’assalto a Pietro Barbini. Proprio come un tram all’improvviso, a quello che si chiamava re - e che ora è re nudo.

Al suo smarrimento fa da contraltare la freddezza dell’ex, Martina Levato: «La verità che volevo dire io è venuta dai giudici, peccato che Alexander abbia perso l’occasione di assumersi le sue responsabilità». Parole di distanza, e dopo che si è trasferita proprio sul bimbo - un anno il 15 agosto 2016 – la battaglia degli ex. Lontani i tempi della coppia acida ma unita per avere l’affidamento, a sé o ai nonni. Lontani i tempi in cui anche il pubblico ministero Marcello Musso, rocciosa voce d’accusa, s’intenerì di fronte alla nascita e si presentò alla clinica Mangiagalli con un paio di scarpette per il neonato. «Avevo parlato dei miei sentimenti a mia madre. Vecchia contadina piemontese, che me li risolse così: andare o non andare dalla propria imputata? «Mas capis che t’ai d’andè», mi disse. Si capisce che devi andare…». La coppia, dell’acido: si coprivano, o meglio lei copriva lui. Ora Martina gioca da sola e punta, con il distacco conclamato dal suo re, ad avere il bimbo – col quale potrebbe avere accesso a una comunità per madri detenute. Mentre Boettcher non ha chance: maschio oltre che detenuto, scaricato dall’ex, e dentro quella nuvola di ragazzo sadico con cui si chiude il suo ultimo processo. Unica certezza, l’infinito limbo in cui il bimbo è costretto, prima di avere una famiglia. Tuttora affidato a una comunità dei servizi sociali del Comune, vede a San Vittore ogni lunedì, separatamente, madre e padre, quindi una volta alla settimana riceve le visite dei nonni. In questo limbo resterà almeno fino all’estate o settembre, prima che il tribunale per i minori decida su affidamento o adozione.

Le psichiatre e psicoterapeute Cecilia Ragaini e Simona Taccani, incaricate della perizia, hanno ottenuto – rispetto al 14 aprile – una proroga fino al 24 maggio, data in cui invieranno alle parti, gli avvocati Valeria Barbanti, per Boettcher, e Laura Cossar, per Levato, le loro conclusioni. I legali avranno tempo fino al 7 giugno per trasmettere considerazioni e memorie, con l’avvocato Barbanti che punterà – date le chance nulle di Alex - su nonna Ravasi. Il tribunale depositerà tutti gli atti il 14 giugno, poi si aprirà una fase di ascolto di Martina e Alex (i nonni sono già stati sentiti). La decisione di primo grado, a ridosso dell’estate, è appellabile da chi non fosse soddisfatto. Come appellabile sarebbe la decisione di far adottare il bimbo a terzi. E il piccolo galleggerà nel limbo forse per oltre un anno ancora. Martina e Alex sono attesi dai periti il 4 aprile, per il primo e ultimo incontro, e dopo che la sessione tra loro e il figlio è stata annullata dai consulenti tecnici. Dopo, rapporti interrotti da oltre un mese, si rivedranno in aula, terza Corte d’appello, 7 aprile, al processo di secondo grado in rito abbreviato per l’assalto a Pietro Barbini. Non troveranno più il pm Marcello Musso («Non intendo personalizzare la voce dell’accusa»), ma un sostituto pg. Musso, soddisfatto della pena irrogata a Boettcher, non ricorrerà in appello: i 23 anni appena comminati all’ex re non potranno essere riformati in peggio. E - tiene a sottolineare – «in questo processo non è stata la Procura a rivelare e usare video e chat sadici e impietosi». A dire che, con le prove che aveva, lui vinceva lo stesso.

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