Milano, procuratore legale ucciso con la pistola di "Dylan Dog": un mistero lungo 26 anni

Mancano pochi giorni al Natale del 1996 quando Claudio Del Forno viene freddato con un colpo d’arma da fuoco di un modello molto raro. Era appena uscito dall’appartamento dove viveva con i genitori

la notizia sul Giorno dell’assassinio di Claudio Del Forno

la notizia sul Giorno dell’assassinio di Claudio Del Forno

Un colpo dritto al cuore esploso da un’arma antica. Claudio Del Forno muore così, quando mancano pochi giorni a Natale, le vetrine dei negozi di Milano sono addobbate a festa e le gente affretta il passo per rincasare presto. Del Forno è un giovanottone di trentacinque anni. Figlio unico, vive in viale Traiano con i genitori, il padre, ex corista della Scala, la madre, pensionata del ministero della Difesa. Laureato in Giurisprudenza, non è mai diventato avvocato, anche perché ha avuto la vita attraversata da una storia sfortunata. Aveva dieci anni, abitava ancora a Piacenza, quando è stato investito da un’auto. Ha picchiato forte la testa, ha passato settimane in ospedale, ne è uscito segnato da disturbi psichici e neurologici. È finito per quattro mesi all’ospedale Sacco per un trattamento sanitario obbligatorio, ma non è guarito. La sera del 21 dicembre 1996, un sabato, esce di casa, giacca blu e cravatta, occhiali, impermeabile e ombrello. Dice al padre che trascorrerà la serata in discoteca se troverà un amico disposto ad accompagnarlo.

Il colpo esploso nella notte

Alle 20.30 è in via Tavazzano. Suona al citofono dell’appartamento di Corrado, uno dei suoi pochi amici, che lo ha cercato nel pomeriggio. Corrado offre un caffè. Tira fuori la chitarra, suona un paio di motivi. Declina l’invito per la discoteca, non ne ha voglia e poi ha già appuntamento con un altro amico, Sandro, che lo aspetta in un bar di Ponte Lambro. Del Forno esce alle 21.30 sotto un acquazzone. Cinque minuti più tardi, nello spicchio di piazzale Accursio che fa angolo con viale Certosa e viale Espinasse, risuona un colpo. Sei ragazzi del quartiere si trovano a cinquanta metri. Matteo, Debora, Ambra, Bruno, Francesca e Marco hanno fra i diciassette e i ventiquattro anni. Pensano a un mortaretto.

I due testimoni

Debora è la prima a notare l’uomo con un impermeabile macchiato di rosso steso sull’asfalto. Ci sarebbe anche un altro testimone, un passante con un cane, ma si è dileguato nel buio. Verrà identificato solo mesi dopo. Abita in un palazzo nella zona, portava il suo cane a fare pipì. Conosceva la vittima per avere scambiato due parole anni prima alla parrocchia di via Bartolini. La sua abitazione viene perquisita giusto per uno scrupolo. Niente armi. Nulla. Grazie e tante scuse. I sei ragazzi non hanno molto da dichiarare ai carabinieri. Solo dopo più di un mese Bruno tornerà in via Moscova per raccontare di avere visto passare una Y10 colore blu metallizzato, al volante un giovane sui venticinque anni, cappellino di lana tipo passamontagna arrotolato sulla fronte, capelli lunghi fino alle spalle, barba incolta. Certo l’ucciso era un personaggio difficile, ma dallo scandaglio di vissuto, frequentazioni, abitudini, non esce niente che possa spiegare una esecuzione tanto spietata. Le amicizie li contano sulle dita di una sola mano.

Il sospettato

L’attenzione degli investigatori si concentrano su Corrado, l’amico che ha cercato Claudio e l’ha accolto in casa nella serata, l’ultimo, a parte l’assassino, ad averlo visto vivo. Fa mettere a verbale di essere uscito alle 21.45, un quarto d’ora dopo Del Forno, di avere visto in piazzale Accursio le "gazzelle" dei carabinieri e le ambulanze, di essersi avvicinato e avere visto l’amico steso a terra. In preda al panico, è rientrato e ha raccontato tutto ai genitori. Erano le 23 quando ha disdetto l’appuntamento con l’amico del bar di Ponte Lambro. Si sono presentati i carabinieri a cui è apparso molto confuso. Viene eseguito lo stub su due giubbotti di Corrado. I campioni, esaminati al Sotto centro Investigazioni Scientifiche di Parma, antenato del Ris, rilevano su uno degli indumenti due particelle di piombo-antimonio, due di piombo-bario, una di antimonio, caratteristiche ma non univoche di un residuo da sparo. Il giubbotto può essere stato contaminato da elementi dispersi nell’aria quando Corrado si è avvicinato al corpo dell’amico.

Il vecchio revolver

Nessun movente. Non vengono trovate armi. Il proiettile, calibro insolito, un 10,4 millimetri, è stato "sparato - scrive nella sua relazione il maggiore Luciano Garofano - da un revolver verosimilmente prodotto tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento". Probabilmente una Glisenti Bodeo, quella impugnata da Dylan Dog. I carabinieri ne censiscono diciassette e ne sequestrano sedici. Nessuna ha incise le quattro striature oblique che marchiano il proiettile mortale. L’arma di Dylan Dog, un catenaccio centenario per un delitto senza colpevole.

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