Milano: chiesa 'rumorosa', processo infinito

Residenti cacciarono i pentecostali: canti e preghiere a tutte le ore

Una celebrazione pentecostale

Una celebrazione pentecostale

Milano, 21 aprile 2019 - Da quattro anni è tornato il silenzio in via Marco Aurelio, a pochi passi da via Padova. Non si sentono più quei rumori - canti anche dopo il tramonto, preghiere, musica, balli e grida dei bambini - che avevano innescato una battaglia tra i residenti e il gruppo cristiano appartenente al Movimento Missionario Mondiale, chiesa pentecostale nata in America Latina che a Milano si riuniva all’interno di un capannone al civico 21 con cortile annesso.

Ma in Tribunale si trascina un processo a carico di uno dei pastori della comunità, con al centro presunti abusi edilizi, che non è ancora arrivato alla sentenza di primo grado. Processo che si gioca, principalmente, su una questione: quel capannone affittato dai pentecostali era una chiesa abusiva oppure una sala riunioni? La vicenda affonda le radici tra il 2014 e il 2015, quando i residenti - esasperati dai rumori che a loro dire impedivano di riposare con tranquillità - si rivolsero al Comune di Milano e alla Procura, denunciando il gruppo per abusi edilizi e per disturbo della quiete pubblica. La comunità religiosa, che conta milioni di proseliti soprattutto in Sudamerica e Africa, è caratterizzata dalla celebrazione di lunghe liturgie collettive. «Il capannone era classificato come magazzino e non come luogo di culto, le attività erano fuorilegge», spiega Samuele Piscina, attuale presidente di centrodestra del Municipio 2. «All’epoca avevamo appoggiato la battaglia dei residenti - prosegue - e nel 2015 eravamo riusciti a farli andare via».

Era scattato infatti un sopralluogo, dal quale è scaturito il processo in corso. E il consiglio di zona - all’epoca retto da una maggioranza di centrosinistra - aveva bocciato la richiesta di cambiare la destinazione d’uso. Quattro anni fa, quindi, i pentecostali decisero di trasferirsi in un’altra sede. Una battaglia vinta dai residenti, ma si trascina ancora un risvolto giudiziario. «Ci incontravamo per aiutare le persone che hanno bisogno e anche per pregare, ma quello non era un luogo di culto», ha spiegato in aula il pastore, originario dell’Ecuador. L’esito del processo si giocherà anche sull’interpretazione di un rialzo rilevato all’interno durante i sopralluoghi: era un altare oppure un semplice piano d’appoggio? La sentenza del giudice dovrebbe arrivare a maggio.

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro