Cremonini: "Voglio prendere per mano il popolo degli stadi" / VIDEO

Il cantautore nella redazione del Giorno: "Ora faccio tutto esaurito, ma la mia carriera è stata una montagna russa"

Cesare Cremonini sul terrazzo della redazione de Il Giorno

Cesare Cremonini sul terrazzo della redazione de Il Giorno

Milano, 17 aprile 2018 - Un concerto da Robin. A 65 giorni esatti dal debutto tra gli spalti di San Siro, Cesare Cremonini è approdato ieri al Giorno per presentare in diretta Facebook il kolossal da stadi che il 20 giugno lo consegna al cuore palpitante del “Meazza”. «Credo che la fiducia del pubblico vada ricompensata da parte mia una con totale gratitudine – spiega –. I quattro concerti a Lignano, Milano, Roma e Bologna sono la festa che da anni ci proponevamo di vivere assieme, finalmente ci siamo quasi».

Quattro notti anzitutto di musica.

«Ho un atteggiamento di grande rispetto verso la musica, come se potesse bastare a se stessa senza bisogno d’altro. Stesso stato d’animo che mi spinge a pubblicare nel Record Store Day, 21 aprile, in omaggio al supporto fisico, questi miei primi due singoli in vinile colorato in serie numerata e limitata».

Il palco è concepito come un grande abbraccio.

«È il palco più bello che potessi immaginare, non si limita a parlare solo a quelli che stanno nel parterre, ma pure a quelli dei posti distanti, laterali, i Robin degli stadi. La sensazione che mi dà la visione del pubblico di un concerto pop negli stadi è quella di un popolo. Di una massa quasi indomabile, da abbracciare, da prendere per mano e portare lontano. E io voglio entrare in contatto con tutti, grazie alla forza di un evento generoso di musica, canzoni, show».

Com’è cambiato il rapporto col pubblico?

«Se un tempo dovevo riconquistare il mio status d’artista e una certa credibilità, negli ultimi dieci anni ho lavorato per far sì di arrivare a questo traguardo assieme al mio pubblico. Come se fossimo entrambi pronti all’evento, realizzando un’alleanza basata sulla complicità, che mi aspetto a tratti commovente, soprattutto nella mia città».

A Bologna tutto esaurito da settimane, mentre a Milano mancano ormai poche migliaia di biglietti. Se l’aspettava?

«No. Come non mi aspettavo il sorprendente dato di Roma, dove non ero mai riuscito a raddoppiare nei tour passati i concerti del PalaLottomatica. All’Olimpico siamo già arrivati a 40mila biglietti venduti. Un risultato incredibile».

Come vive i due mesi che la separano dal traguardo?

«Il concerto è il risultato di un percorso umano ancor prima che professionale. Sto immagazzinando positività perché la paura si esorcizza solo con la gioia. E io ho bisogno di questa energia per affrontare numeri che sono, almeno sulla carta, molto più grandi di me. Sul palco devi essere non solo l’altezza, ma avere tutta la positività necessaria per trasmettere la gioia di essere lì in quel momento».

Dopo i Lunapop ha ricominciato da zero. Quando si esibiva nei teatri di provincia e nelle piazze, ha mai pensato che sarebbe arrivato a San Siro?

«Non tutti hanno avuto percezione della montagna russa, anzi del completo giro di giostra, che è stata la mia carriera. Non tutti sanno che dopo i fasti di ‘50 Special’ e ‘Qualcosa di grande’, per un decennio i miei live hanno fatto molta fatica a riempire. Ma anche nel paesino sperduto della Sila mi sentivo come fossi al Dall’Ara o a San Siro. E penso che questo atteggiamento, questo rispetto, siano stati poi fondamentale per arrivarci davvero al Dall’Ara e a San Siro».

Com’è stata recepita “Nessuno vuole essere Robin”?

«Quando è uscita come singolo ero curioso di scoprire in che modo sarebbe entrata nella vita delle persone. Mi sono reso conto che in pochi sono riusciti ad asciugarne i significati fino a ridurla a quel che è: una canzone d’amore. Nel momento esatto in cui l’ho scritta pensavo a Robin come ad una persona capace di dire a quella che gli sta vicino: “Ho bisogno di te”. È ovvio che la frase, estrapolata, può significare molte altre cose, mi auguro solo che rimanga una buona canzone d’amore».

Ha già un’idea su come rompere il ghiaccio negli stadi?

«Siccome le produzioni da stadio, come dicono i miei amici romagnoli, ‘c’hanno il gas’, puoi premere molto sull’acceleratore della spettacolarità. Penso che ‘Possibili scenari’ potrebbe essere la canzone giusta per iniziare uno spettacolo del genere, ma sono altrettanto sicuro che puntare sulla musica suonata e dell’artista ‘nudo’ anche nella sua solitudine sarebbe altrettanto originale e moderno. Lasciando coriandoli o fuochi d’artificio alle restanti due ore e un quarto».

A suo padre la vita la segnò Padre Pio, quando disse ai suoi genitori in quel di San Giovanni Rotondo: fate studiare il ragazzo perché diventerà un bravo medico. A lei, invece, chi o cosa l’ha decisa?

«Ero bravo a scuola, andavo bene nelle materie umanistiche, mi sarebbe piaciuto diventare insegnante, ma mia madre dai sei anni mi fece studiare il piano, a legnate perché preferivo uscire con gli amici. Ma quell’impegno mi ha aperto ad una sensibilità e forma mentis che solo la musica ti sa dare. Poi ho visto Freddie Mercury sul palco e… smisi di andare a scuola».

Sa che ad ogni concerto le passerà tutto davanti agli occhi come in un film.

«Sì. Ho scritto ‘Padre e madre’ quando mi sono reso conto che avrei dovuto scegliere o le regole della musica o a quelle della mia famiglia. Un modo per dire: me ne devo andare, ma vi lascio questa canzone che parla di voi. Il saluto da una nave che sta salpando verso un destino ancora indefinito. Questo mi rende commovente l’idea di cantarla a Bologna davanti a mio padre che ha 94 anni».

Per uno cresciuto nel segno di Mercury, Wembley rimane il padre di tutti i sogni?

«Il mio Wembley è suonare nello stadio di casa mia. Ogni volta che alzo lo sguardo verso il Dall’Ara mi rivedo a sei anni sulle spalle dello zio in curva a vedere Bologna-Pisa 3-2, con doppietta di Marronaro. Su quegli spalti ho vissuto tanti momenti della mia vita, ma se chiudo gli occhi il ricordo vola a quella giornata di 32 anni fa».

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