Caterina Giancotti, c'è una donna tra i capi della "Locale di 'ndrangheta" a Rho

L'organizzazione è stata smantellata con 49 misure cautelari. Il pm: "Abbiamo cinque donne arrestate e per la prima volta in Lombardia viene contestato a una di loro il ruolo operativo e organizzativo di capo"

Milano, 22 novembre 2022 - Nell'inchiesta della Dda di Milano e della Polizia di Stato sulla locale cosca della 'ndrangheta a Rho, in provincia di Milano, "abbiamo cinque donne arrestate e per la prima volta in Lombardia viene contestato a una di loro il ruolo operativo e organizzativo di capo". L'ha detto la pm della Dda Alessandra Cerreti, in una conferenza stampa, in merito all'esecuzione di 49 misure cautelari che hanno smantellato l'organizzazione.

Il braccio destro

Un elemento "evocativo di un modello culturale che cambia", ha aggiunto. Caterina Giancotti, 45 anni, è considerata il "braccio destro di Christian Bandiera", figlio del boss Gaetano. "Lo sostituisce in una serie di attività, ha sotto di sé due associati ai quali da direttive". E ancora: "E' formalmente estranea", ha spiegato la pm antimafia, "a circuiti criminali, ma con una tempra violenta riesce a guadagnarsi la stima del capo".  "La legge è tornata, la 'ndrangheta è tornata a Rho": sono, invece, le parole intercettate di Gaetano Bandiera, al vertice, assieme al figlio Christian, della 'locale di 'ndrangheta.

Teste di capretto e maiale

Parole pronunciate dopo aver espiato la condanna definitiva a lui inflitta nel maxi processo milanese seguito allo storico blitz Infinito del 2010. La frase è stata riportata dal procuratore aggiunto della Dda di Milano Alessandra Dolci nel corso della conferenza stampa. Dolci ha spiegato che "negli ultimi anni si è parlato spesso di 'ndrangheta a vocazione imprenditoriale, ma questo non ci deve far dimenticare l'esistenza di una mafia tradizionale. Questa indagine "smentisce l'ossimoro di mafia silente, anche perché le intimidazioni e l'attività estorsiva a tappeto sul territorio passavano anche per teste di maiale, di capretto e minacce di morte".

Nessuna denuncia

Tre delle persone arrestate dalla Squadra mobile, peraltro, con l'accusa di associazione mafiosa, percepivano il reddito di cittadinanza. Per questo, ha evidenziato il pm della Dda di Milano Alessandra Cerreti, "servirebbero controlli più approfonditi" sui destinatari di sussidi pubblici. È uno degli aspetti emersi dalle indagini che si sono scontrate anche con l'omertà sul territorio. "Il mafioso viene preso come punto di riferimento dalla popolazione - hanno spiegato gli inquirenti - siamo a Milano, non a Rosarno o a Platì, ma accade la stessa cosa. Fra le vittime di estorsioni o minacce nessuno ha pensato di denunciare, e questi è uno degli aspetti allarmanti".

Francesco Messina, dirigente dello Sco che ha partecipato alla conferenza stampa con il procuratore di Milano Marcello Viola e il capo della Squadra mobile di Milano Marco Calì, ha sottolineato che "il carcere non produce una rescissione dall'organizzazione mafiosa" e, come ha evidenziato anche questa inchiesta, "quando escono ricominciano con più forza". 

 

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