Inchieste sulla Regione, Fontana e le chat copiate: "È pesca a strascico"

Il governatore lombardo critico sull’operazione decisa dalla procura di Pavia: ma non ho nulla di cui preoccuparmi

Il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana

Il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana

Milano, 25 settembre 2020 - Si dice tranquillo, Attilio Fontana. Il giorno dopo aver ricevuto la visita a sorpresa dei militari della Guardia di Finanza di Pavia, il governatore lombardo fa sapere di non temere un nuovo avviso di garanzia, stavolta per la vicenda Diasorin, e conferma la possibilità di ricorrere contro il decreto con il quale la procura di Pavia ha dato mandato alle Fiamme Gialle di acquisire tutte le chat contenute nel proprio cellulare provvedendo a effettuare una copia forense delle stesse. La stessa operazione è stata effettuata con i cellulari di Giulia Martinelli, capo della segreteria politica di Fontana ed ex compagna di Matteo Salvini, e di Giulio Gallera, assessore regionale al Welfare. È ripartito proprio da qui Fontana, ieri. Da quella perquisizione a domicilio avvenuta alle 7 del mattimo di mercoledì. 

«Un atto invasivo: credo abbia usato il termine giusto – dichiara il presidente della Regione Lombardia rispondendo ad un giornalista –, perché oltretutto non è neanche circoscritto alla fattispecie contestata ma è quella che si definisce “pesca a strascico“». E sugli eventuali profili di incostituzionalità della copia forense dei messaggi, accennati già mercoledì sera dal suo avvocato Jacopo Pensa, Fontana spiega: «Il mio legale faceva riferimento al fatto che io evidentemente ho sì delle chat con parlamentari, ministri, uomini politici che evidentemente mi rivelano della cose che magari è meglio che rimangano tra di noi». Dunque il governatore farà ricorso? «Per una questione formale penso proprio di sì– fa sapere Fontana –, perché penso che certi principi fondamentali vadano rispettati a prescindere». 

Nel frattempo Fontana ostenta serenità: «Non sono minimamente preoccupato. Faccio tutte cose assolutamente legittime. A parte qualche commento malevolo nei confronti di qualche squadra di calcio – scherza poi –, non credo che ci sia nulla di preoccupante. Nulla di cui io mi possa ritenere preoccupato». A chi gli ha chiesto se teme un nuovo avviso di garanzia, dopo quello ricevuto per il caso camici, Fontana risponde netto: «Non credo proprio». E spiega: «La Regione non c’entra assolutamente niente con questa vicenda di Diasorin, perché infatti nessuno di noi è indagato in questa faccenda. Al di là di questo, io ho la massima fiducia e stima nei confronti nelle persone che fanno parte del San Matteo di Pavia e dei suoi scienziati, che mi sembra abbiano dato un grande contributo per combattere questa epidemia. Sono assolutamente convinto che non ci siano problemi». 

Nel dettaglio, la procura della Repubblica di Pavia ha aperto un’inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto Mario Venditti e dal pm Paolo Mazza, sull’affidamento diretto (quindi avvenuto senza una procedura ad evidenza pubblica) alla società Diasorin di 500mila test sierologici, per un valore di 2 milioni di euro, da parte del Policlinico San Matteo di Pavia. Da marzo ad oggi sono state iscritte nel registro degli indagati otto persone con l’ipotesi di reato di peculato e turbata scelta del libero contraente. Tutte e otto coincidono, in sintesi, con i vertici dell’ospedale e della stessa Diasorin. Una partita, quella relativa all’affidamento alla società piemontese, che ha investito anche la giustizia amministrativa ma senza conseguenze.

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