Cartello sotto casa dell’ad di Uber. Insulti a Maran. Dopo la denuncia, indaga la polizia

Uno striscione appeso ai cavi della luce. Con insulti volgari alla manager di Uber Italia e all’assessore comunale ai Trasporti. Brutto risveglio ieri mattina per l’amministratore delegato della società californiana accusata di concorrenza sleale dai tassisti, che si è ritrovata il cartello proprio sotto casa di Nicola Palma

Il cartello contro Benedetta Arese e l'assessore Maran

Il cartello contro Benedetta Arese e l'assessore Maran

Milano, 12 febbraio 2015 - Uno striscione appeso ai cavi della luce. Con insulti volgari alla manager di Uber Italia e all’assessore comunale ai Trasporti. Brutto risveglio ieri mattina per l’amministratore delegato della società californiana accusata di concorrenza sleale dai tassisti, che si è ritrovata il cartello proprio sotto casa. Ecco il testo: «Benedetta Arese Lucini p. riceve in ... (omettiamo via e civico per ovvie ragioni di privacy, ndr). Per Maran è gratis». La manager, particolarmente scossa per l’accaduto, ha subito sporto denuncia alla polizia locale, che poi ha passato il caso alla Questura. Ora toccherà agli investigatori cercare di risalire agli autori del gesto, che hanno agito con modalità del tutto analoghe a chi, lo scorso 16 settembre, appese un manichino – a mo’ di impiccagione – con una foto di Pierfrancesco Maran sulla faccia e una di Arese Lucini tra le gambe (con la frase «Go Home!») in via Donati, zona Lorenteggio.

Fari puntati inevitabilmente sulla categoria più agguerrita contro i due finiti nel mirino: i tassisti. Sì, perché ormai da quasi due anni – cioè da quando Uber è sbarcata a Milano con la sua applicazione per smartphone – i padroncini sono in trincea contro la start-up americana da 12 miliardi di dollari e chi la rappresenta in Italia. Basti ricordare solo qualche episodio: dalla durissima contestazione al Wired Festival di nove mesi fa ai Giardini Montanelli ai fischi durante un dibattito alla Festa democratica al Carroponte, senza dimenticare i volantini di minacce appiccicati sulla stragrande maggioranza delle colonnine taxi dei posteggi cittadini. Una guerra senza quartiere, culminata a maggio con la serrata di cinque giorni e il vertice in Prefettura con il ministro Maurizio Lupi: «Uber Pop è illegale», dissero in quell’occasione tutti i rappresentanti istituzionali, dal sindaco Giuliano Pisapia al governatore Roberto Maroni.

Da allora, sostengono i conducenti – in particolare gli «irriducibili» del turno di notte – nulla è cambiato. L’app continua a funzionare regolarmente, anche se in realtà i controlli si sono parecchio inaspriti: solo nel mese di gennaio, i vigili del reparto Frecce hanno sequestrato 20 veicoli appartenenti a driver associati alla versione di Uber che consente a chiunque abbia un regolare documento di guida, un’auto immatricolata da meno di 7 anni e la fedina penale pulita di caricare clienti a prezzi low cost. Agli artigiani del volante non basta: loro vorrebbero la messa al bando del software, com’è già accaduto, sottolineano, in altri Paesi. Dal canto suo, Arese Lucini si è sempre difesa così: «Si tratta di un servizio di car pooling, cioè di condivisione di un mezzo tra più persone». Ovviamente, il gesto di ieri notte va al di là di qualsiasi discussione, seppur accesa. Con un particolare inquietante: coloro che hanno issato quello striscione conoscevano esattamente l’indirizzo di casa della donna, che si muove sotto scorta da tempo.

nicola.palma@ilgiorno.net

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro