Beatificazione Carlo Acutis, "Insegna ai giovani ad avere coraggio"

Monsignor Ennio Apeciti ha raccolto documenti e testimonianze per la causa: la sua grande fede è emersa attraverso chi lo ha conosciuto

Carlo Acutis beato

Carlo Acutis beato

Milano, 11 ottobre 2020 -«Di questo ragazzo mi hanno colpito molti elementi. Era un ragazzo normale, come tanti, ma nello stesso tempo eccezionale grazie alla sua fede incrollabile". Monsignor Ennio Apeciti è responsabile dell’Ufficio delle cause dei santi dell’arcidiocesi di Milano, che per primo ha analizzato la figura di Carlo Acutis raccogliendo documenti e testimonianze. Dalla commissione meneghina è arrivato il primo "sì" che ha spianato la strada a quello decisivo per la beatificazione, a cura della Congregazione delle cause dei santi della Curia romana.

Come avviene il procedimento? "C’è un’inchiesta che si effettua per valutare la figura, una volta ricevuta la proposta dal postulatore (nel caso di Carlo Acutis è arrivata da Nicola Gori, che ha detto di aver imparato da Carlo "ad avere familiarità con Dio", ndr ). Bisogna esaminare la vita, ascoltare chi ha conosciuto la persona, leggere documenti e ciò che ha lasciato per capire se abbia incarnato le virtù cristiane. Tecnicamente, se è degna di essere beatificata, se può essere un esempio per gli altri. Io e gli altri collaboratori abbiamo ritenuto che nel caso di Carlo ci fosse materiale sufficiente, e dopo la nostra prima valutazione la “pratica“ è passata a Roma". Quante persone avete “interrogato“? "Una sessantina. Ci siamo resi conto della sua grande fede di adolescente ascoltando le parole di chi lo ha conosciuto. Abbiamo sentito amici, gente del quartiere e della parrocchia, i familiari, il domestico. Un’insegnante delle scuole medie mi disse ‘ma come può diventare santo se prendeva le note?’. La sua eccezionalità stava in altro: aveva nel cuore Gesù, agiva sempre per Lui. Una maestra mi ha raccontato che quando c’era l’intervallo stava accanto a un bambino con la psoriasi, che tutti evitavano. E siccome questo bambino proveniva da una famiglia povera, e non sempre aveva la merenda, Carlo iniziò a portarne due. Aveva questa sensibilità".

Mentre quando era più grande? "Al liceo del Leone XIII, un giorno invitarono i ragazzi a entrare in un cammino di fede. Quasi tutti abbassarono gli occhi: lui solo disse ‘io sì, io ci sono, lo voglio’. Aveva il coraggio di non nascondersi. Ma lo stupore più grande l’ho avuto incontrando i genitori, che immaginavo essere una coppia di ultracattolici praticanti. La mamma però mi disse: ‘E’ lui che ci ha portati in chiesa, è lui che ci ha convertiti’. Io sono rimasto di stucco". Cosa può insegnare ai ragazzi, oggi? "A non nascondersi. Ad avere fede, ad avere coraggio. Il suo è l’esempio di un ragazzo moderno, entusiasta della vita, che ha usato i mezzi di comunicazione digitali per fare del bene, lo stesso bene che praticava fuori dalla rete".  

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