Carla Fracci, l’étoile più luminosa: un successo scritto nel destino

Intelligente, bella, tenace e colta. Alla scuola del balletto del Teatro alla Scala la direttrice disse: "Fate come lei, arriva sempre all'obiettivo"

Carla Fracci

Carla Fracci

Milano - La prima volta che Carla Fracci interpretò “Giselle” alla Scala fu per una sostituzione: Liane Daydé si era ammalata e la giovane era stata chiamata. Un destino fatale: al Piermarini c’era Anton Dolin, ballerino, coreografo britannico che l’anno dopo la volle a Londra, per lo stesso ruolo che aveva portato in scena solo una volta. Un trionfo e da allora fu coniato il termine Fracci-Giselle come una sola cosa.

"E pensare che in Inghilterra, dopo aver provato, riprovato mi venne un tale dolore alle caviglie che rischiavo di non andare in scena, non riuscivo a muovermi finché mi suggerirono un buon fisioterapista che mi rimise in piedi e la sera dopo debuttai". Era il 1959, in platea ad applaudire Johnn Cranko, Keneth MacMillian, Lynn Seymour, poi la tournée in Svezia, Danimarca. Era nata una stella, la stella, pardon l’étoile. La direttrice della scuola del balletto del Teatro alla Scala, l’aveva intuito fin da quel pomeriggio in cui si era rivolta agli allievi dicendo "Fate come la Fracci, lei sa benissimo ciò che vuole. I commenti inutili le entrano da un orecchio e le escono dall’altro, e arriva sempre all’obiettivo che ha in mente". Un annuncio profetico che diventa leggenda. Carla è intelligente, bella, tenace e colta, è curiosa, le piace la gente, sa ascoltare e rispondere a tono con garbo ma dicendo sempre cose pertinenti al mondo della cultura, dello spettacolo, della politica. Non si ferma mai è sempre alla ricerca.

In palcoscenico mentre interpreta “Giselle” ha un’idea insolita, durante la scena della pazzia come un’attrice consumata estrae, senza che nessuno se ne accorga, alcune ciocche di capelli, lo sguardo è perso, il dolore che trasmette immenso. Lo stesso modo di guardare il pubblico come se non lo vedesse che ritorna in “Medea”, Gelsomina, protagonista de “La strada”, “Filumena Marturano”. I diversi artigiani che per lei confezionano le scarpette da ballo conservano il calco dei suoi piedi, come a Parigi alcuni scultori vollero il calco della mano di Chopin, privilegio degli immortali. Su suggerimento dell’amica Margot Fontaine sfumava le palpebre con l’ombretto rosa, non scuro come agli esordi, e poi la matita nera con mascara. Aveva iniziato a vestirsi di bianco durante la gravidanza, in attesa di Francesco. Lunghi abiti chiari, informi, raffinati diventano il suo stile, il colore lo indossa solo in vacanza. Amava le auto, le piaceva guidare e le dispiaceva non poterlo fare spesso; la sua prima macchina acquistata, viveva ancora con i genitori, è stata una Seicento di seconda mano, beige ovviamente.

Carla Fracci ha danzato con i più grandi ballerini del XX secolo, Rudolf Nureyev è stato suo partner a lungo, tanto a lungo da giocarle tiri mancini, ricordava «S’allontanava troppo da me, oppure mi lasciava un secondo prima del previsto. Una volta, due, tre finché ho adottato la mia strategia: anch’io ho iniziato a giocare d’anticipo e a fargli scherzetti all’improvviso». Leggeva poesia e le ispirava, Montale vedendola capì che aveva trovato la sua musa.

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