Il gip: non esiste il diritto all’eutanasia. "Chi aiutò dj Fabo va processato"

Marco Cappato l’accompagnò in Svizzera. "Così lo spinse al suicidio"

Marco Cappato

Marco Cappato

Milano, 11 luglio 2017 - Marco Cappato, l’esponente radicale che aiutò dj Fabo a morire, va processato. Per il gip Luigi Gargiulo, che ha così respinto la richiesta avanzata dalla procura di archiviare il caso, Cappato non avrebbe semplicemente agevolato il suicidio di Fabiano Antoniani, il 39enne cieco e tetraplegico dopo un incidente stradale che ha trovato la morte in una clinica svizzera, ma avrebbe anche «rafforzato» la volontà dell’uomo di togliersi la vita. E questo perché «il desiderio di morire già espresso dal malato era – scrive il giudice – in considerazione delle condizioni fisiche dello stesso, privo di effettive possibilità di attuazione». 

C’è di più. Se nella loro richiesta di archiviazione i pm Tiziana Sicialiano e Sara Arduini avevano immaginato un vero e proprio «diritto ad una morte dignitosa» in capo ad Antoniani come causa di non punibilità dell’«aiuto» fornitogli dall’esponente radicale (che lo caricò nella sua macchina e lo portò in Svizzera) per il giudice Gargiulo invece «nell’ordinamento italiano non esiste alcun diritto assoluto al suicidio, tanto meno un diritto - esigibile dallo Stato - a ‘morire con dignità’, vuoi per mano propria, vuoi per mano altrui». Anzi, «quand’anche si ammettesse che, a certe condizioni (malattie terminali o irreversibili, dolore fisico insopportabile, percezione dell’indegnità dell’esistenza) la vita possa essere interrotta perché la sua prosecuzione viola la dignità umana, si introdurrebbe - sostiene il giudice - un’evidente sperequazione nella tutela della vita umana, in quanto vi sarebbero vite meritevoli di essere vissute ed esistenze non meritevoli».

E in questa vicenda, ribadisce Gargiulo, non ci sono norme europee che possano soccorrere. «Le fonti sovranazionali - insiste il gip - in particolare la Cedu (Corte europea dei diritti dell’uomo, ndr) pur riconoscendo che suicidarsi costituisce esercizio della propria autodeterminazione, non impongono alcun obbligo agli Stati in punto di suicidio assistito». Nel processo che probabilmente si farà, Cappato rischia fino a dodici anni di carcere. Lo scorso febbraio, deciso a morire, dj Fabo gli chiese aiuto e lui lo accompagnò nell’ultimo viaggio verso la Svizzera. Cinque ore di macchina, partenza da Milano, lui alla guida e l’altro nella sua carrozzina. E quando tutto finì, toccò proprio al tesoriere dell’associazione Luca Coscioni, che da anni si batte per la libertà di cura e di morte dignitosa, comunicare a tutti con un tweet che Fabiano se n’era andato, ricordandolo commosso ai microfoni di Radio radicale. Prima di morire, d’altra parte, Fabiano aveva voluto ringraziare pubblicamente proprio lui.  Ora però, nell’ordinanza con cui il gip Gargiulo impone alla procura la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti del’esponente radicale, a Cappato si imputa anche di aver «rafforzato il proposito suicidiario» di dj Fabo «prospettandogli la possibilità, in alternativa alla terapia sedativa profonda in Italia, di ottenere assistenza al suicidio presso la Dignitas (la clinica, ndr.) in Svizzera, accreditata per la sua serietà ed affidabilità, attivandosi per mettere in contatto la Dignitas con i prossimi congiunti di Antoniani, facendo pervenire presso la loro abitazione il materiale informativo».

Fra l’altro, nelle 32 pagine del suo provvedimento depositato ieri, il gip Gargiulo motiva anche la sua decisione di non accogliere neppure l’altra richiesta avanzata dai pm Siciliano e Arduini in subordine a quella di archiviazione, cioè di inviare gli atti alla Consulta per verificare la costituzionalità dell’articolo 580 del codice penale che punisce l’aiuto al suicidio. Per il giudice, la questione è «manifestamente infondata» perché l’articolo in questione «risulta pacificamente compatibile con il sistema costituzionale né meritevole di alcun sospetto di illegittimità di fronte alla Carta repubblicana». 

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