Suicidio assistito, le ultime lettere del signor Romano prima di morire

Le parole dell'82enne di Peschiera Borromeo per spiegare le ragioni della sua scelta. Marco Cappato ancora indagato per aiuto al suicidio

Milano, 28 novembre 2022 - Marco Cappato, tesoriere dell'associazione Luca Coscioni, è indagato per aiuto al suicidio dopo che sabato si è autodenunciato per aver accompagnato un 82enne affetto da una grave forma di Parkinson a morire in Svizzera. Il signor Romano, questo il nome di battesimo, ex giornalista e pubblicatirio, aveva spiegato in alcune lettere la sua condizione e le motivazioni dietro la sua scelta. Eccono uno stralcio che spiega le condizioni cui era costretto il malato.

"Ho sempre fatto le mie scelte e ho sempre pensato che la nostra vita ci appartenga, prima ancora che questa frase diventasse centrale nella campagna dell'Associazione Luca Coscioni. Così ho iniziato ad informarmi sulle possibilità di organizzare il mio fine vita nel modo più dignitoso possibile, ma presto mi è stato chiaro che la situazione italiana è più complicata di come potessi pensare. L'opzione di recarmi in Svizzera in clandestinità mi spaventa perché non voglio assolutamente mettere i miei familiari nella condizione di rischiare di affrontare vicissitudini giudiziarie. Trovo però che sottrarre la libertà di scelta in questi casi sia anacronistico e crudele, e non mi arrendo all'idea di non essere libero. [...] Ho sempre detto che alla fine, se ce ne fosse stato bisogno, avrei deciso io cosa fare. Attualmente vivo in casa circondato dall'affetto dei miei cari. Ma non posso più svolgere da solo le azioni più semplici e questo è molto doloroso. La maggior parte del mio tempo trascorre in camera, a letto; la televisione sopperisce ai miei amati libri, ma non posso più leggere o scrivere, che erano le attività principali della mia vita. Ho seri dolori muscolari che a volte mi tolgono il fiato e a volte sono più leggeri ma costanti. Il mio corpo è quasi completamente irrigidito. Non ho nessuna autonomia, non posso alzarmi se non con molto aiuto, non posso mangiare da solo o bere da solo, ho bisogno di assistenza per l'igiene personale. Ho una grave disfagia che non mi fa più mangiare cibi solidi. Sono completamente dipendente dall'aiuto di familiari e personale specializzato. Comunico a fatica anche i bisogni più essenziali. Vivo questa situazione con grande malessere. Inoltre, sono consapevole che la mia malattia, il Parkinson, può portare ad avere bisogno di ulteriori ausili; potrei essere attaccato ad una macchina per poter mangiare, o forse anche per respirare, e potrei non comunicare più con le parole. Sono anche consapevole che la capacità di discernimento è fondamentale ai fini dell'accesso al fine vita secondo le normative, e anche questa capacità, purtroppo potrebbe un giorno venir meno, togliendomi la possibilità di scegliere se essere oggetto di cure o no". 

Per Marco Cappato, Tesoriere dell'Associazione Luca Coscioni, è stata una nuova disobbedienza civile, dal momento che Romano non era "tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale", quindi, come la 69enne veneta Elena Altamira, non rientra nei casi previsti dalla sentenza 242/2019 della Corte costituzionale sul caso Cappato\Dj Fabo per l'accesso al suicidio assistito in Italia. Nel nostro paese, proprio grazie a quella sentenza 242 della Corte costituzionale, che ha valore di legge, il suicidio assistito è possibile e legale quando la persona malata che ne fa richiesta è

  1. affetta da una patologia irreversibile
  2. fonte di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche
  3. pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli
  4. tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale
  5. queste condizioni siano state verificate dal SSN.

 

 

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