Il capo ultrà dell’Inter resta fuori da San Siro

Sorvegliato speciale, Boiocchi ha chiesto di poter andare allo stadio. No della Cassazione: "Un pericolo per la sicurezza pubblica"

Vittorio Boiocchi e Franco Caravita in una foto scattata insieme nel 2019

Vittorio Boiocchi e Franco Caravita in una foto scattata insieme nel 2019

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Milano - La Curva Nord resterà ancora a lungo senza il suo leader riconosciuto sugli spalti del Meazza. La Cassazione ha respinto il ricorso presentato da Vittorio Boiocchi, pluripregiudicato di 69 anni (di cui 26 trascorsi dietro le sbarre), e confermato che nei giorni in cui l’Inter gioca in casa dovrà rimanere a due chilometri di distanza da San Siro almeno fino alla fine del 2023.

A metà giugno dello scorso anno, Boiocchi, su richiesta della Questura, è stato sottoposto alla misura della sorveglianza speciale di due anni e sei mesi dalla sezione autonoma Misure di prevenzione del Tribunale, presieduta dal giudice Fabio Roia, con annesso divieto di avvicinarsi allo stadio durante le manifestazioni sportive. Una sorta di "Daspo speciale" per evitare che il capo ultrà nerazzurro, che ha scalato i vertici della Nord dopo gli arresti della Digos seguiti agli scontri del 26 dicembre 2018 con i rivali napoletani in via Novara (costati la vita a Daniele "Dede" Belardinelli), permeasse il secondo anello verde delle stesse logiche che hanno segnato la sua carriera criminale.

Alla base del provvedimento ci sono infatti due aspetti. Da un lato, il fatto che Boiocchi, subito dopo la scarcerazione, si sia subito "rimesso all’opera", se è vero che nel marzo 2021 è stato arrestato dagli agenti della Squadra mobile insieme a Paolo Cambedda perché controllato a bordo di un’auto rubata e in possesso di una pistola priva di matricola, alcune cartucce, uno storditore elettrico, un coltello di grosse dimensioni, due manette e una pettorina con la scritta "Guardia di Finanza"; tutto materiale che ha fatto subito ipotizzare agli investigatori che i due stessero progettando una rapina. Dall’altro lato, c’è l’attivismo di Boiocchi sul fronte ultrà, a cominciare dalle manifestazioni non preannunciate fuori dai cancelli di Appiano Gentile in piena pandemia. I

l sessantanovenne, si scopre ora, ha impugnato il decreto del Tribunale (confermato dalla Corte d’Appello il 5 novembre scorso) in Cassazione, contestando solo la parte in cui gli è stato inibito l’accesso al Meazza: "Di fatto, la formulazione del divieto – ha argomentato il suo legale – finisce per irrogare la diversa sanzione del Daspo e, dunque, il divieto di accesso alle manifestazioni sportive". Anche il procuratore generale ha chiesto che il ricorso venisse accolto, ma gli ermellini lo hanno bocciato. "La Corte d’Appello – si legge nelle motivazioni – ha ricostruito la particolare pervicacia e indifferenza del ricorrente rispetto alle regole di condotta del vivere civile, correlate puntualmente, nel determinare le prescrizioni accessorie, ai diversi rilievi e precedenti riferibili al Boiocchi: soggetto condannato per gravi reati nei confronti della persona; fortemente legato a personaggi di spicco della delinquenza organizzata di stampo mafioso; con ruolo centrale nella tifoseria di riferimento mediante azioni aggressive e in violazione anche delle norme previste durante lo stato di emergenza da Covid-19; caratterizzato da evidente incapacità di mutare condotta, nonostante i lunghi periodi di detenzione subìta". Insomma, "un pericolo per la pubblica sicurezza".

È vero, hanno aggiunto i giudici, che le Sezioni Unite hanno precisato in passato che la prescrizione di non partecipare a pubbliche riunioni non riguarda gli stadi, "atteso che gli stessi debbono essere intesi come luoghi aperti al pubblico"; d’altro canto, però, la misura (simile al Daspo solo nelle conseguenze per il destinatario) è stata "personalizzata in cosiderazione delle caratteristiche e degli elementi oggettivi acquisiti a carico del ricorrente". Conclusione: San Siro rimane off limits per Boiocchi.

 

 

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