"Stai tenendo in ordine capocolli e salami?": il business dei reperti archeologici

Così la banda dei tombaroli ricettava a Milano ciò che veniva rubato in Calabria. L’insospettabile intermediario: è una malattia

Reperti archeologici

Reperti archeologici

Milano, 19 novembre 2019 -  «Vedi tu se hai un corriere magari sicuro!». «Ehe... la prima volta che c’è un movimento tranquillo...». «Ah! C’è qui ad esempio c’è qui uno che arriva a Vanzaghello dopo Pasqua!». «Ecco! Cioè piuttosto sì, se è una persona a voi fidata no... si può fare così». I reperti archeologici depredati negli anni dai siti «Apollo Aleo» di Cirò Marina, «Castiglione di Paludi» e Cerasello e da tante altre aree della provincia di Crotone sono finiti anche all’ombra della Madonnina.

Dell’associazione a delinquere smantellata ieri in Calabria dai carabinieri del Comando Tutela patrimonio culturale, stando agli accertamenti investigativi, facevano infatti parte anche gli incensurati A.P, sessantasettenne residente a Castano Primo, e R.P., quarantottenne di Magnago, che gli altri membri dell’organizzazione chiamavano in gergo «l’architetto di Milano». Erano loro, secondo le indagini, gli insospettabili intermediari lombardi legati a doppio filo al fiorentino di nascita E.C. (il suo contributo agli affari della cricca è stato definito «concreto e fondamentale» dal gip Romina Rizzo), a sua volta «stretto collaboratore» di G.P., al vertice della piramide che arrivava fino ai tombaroli di professione. L’obiettivo: piazzare sul mercato nero le bellezze rubate nottetempo con scavi clandestini e devastanti, spedite via pacco al Nord o stivate negli autobus di linea come bagagli di passeggeri-complici.

«Anni e anni in questo mestiere non hanno imparato un c.», dice P. a C. durante una conversazione intercettata il 15 aprile 2018. «Sì – risponde l’interlocutore – non si sono evoluti, non distinguono una statua da un ritratto di famiglia...». Poi C.  fa riferimento a P.: «L’architetto mi ha chiamato e mi ha detto “i capocolli e i salami (il gergo utilizzato al telefono per riferirsi in codice alla merce da ricettare, ndr) li stai tenendo in ordine?“ Sì sì stai preoccupato, ho detto io, e io gli ho detto “stavo vedendo qualcuno che viene dalla tua zona“, però... eventualmente». «Perché lo sai – incalza P. – che sto pensando che mi è venuto in mente... ti ricordi quel busto? quel “Kouros“ di bronzo (scultura greca del periodo arcaico, ndr) che avevamo portato a Milano... mi è venuto in mente che una terza parte di quel Kouros è mia... quindi, quasi quasi...». «E perché non te lo riprendi?», ribatte l’altro. «Eh adesso mi è venuto in mente...».  Un mese dopo , altro dialogo captato. C’è appena stato un sequestro nell’azienda nella famiglia P., ma i trafficanti di reperti non sembrano preoccuparsene troppo: «Noi non ci fermiamo!», assicura C. a P., con P. fuori campo che lancia la sfida «Hanno vinto una battaglia, non la guerra». Perché, convengono i due, «è una malattia... la malattia è contagiosa...».

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