Viaggio tra i bunker di Milano: "Quelli sicuri sono solo tre"

Con lo speleologo Padovan alla scoperta dei rifugi antiaerei del 1943: "Quasi tutti i siti hanno solette di mattoni e non di cemento: trappole"

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Milano - Cunicoli protetti da porte blindate. Gallerie polverose. Semplici cantine in palazzi o scuole. Un mondo sotterraneo riposa sotto i piedi della città dai tempi della Seconda guerra mondiale oppure si è trasformato con il passare dei decenni. Ma se i "rifugi antiaerei" servissero ancora? Se quelle frecce che restano dipinte su certi muri a indicare un punto d’approdo anti bombardamenti e i labirinti serrati da quasi 80 anni dovessero tornare a far parte della quotidianità, in uno scenario di guerra? Un interrogativo che affiora mentre l’Ucraina è martoriata dall’offensiva russa. L’auspicio, naturalmente, è che restino una testimonianza della storia. Ma, nella peggiore delle ipotesi, quegli antichi rifugi sarebbero ancora utilizzabili?

"A Milano – spiega Gianluca Padovan, speleologo di Scam (Associazione speleologia cavità artificiali Milano) – esistevano centinaia di rifugi. Ma la maggior parte erano cantine puntellate. Quasi tutte, con soletta di mattoni e non di cemento armato: trappole. Compresi i sotterranei delle stazioni ferroviarie e gli alberghi diurni, sottoterra. Secondo una nostra analisi, in Italia meno del 5% dei rifugi era sicuro". A Milano "se ne salvano tre". Il primo, "in piazza Duomo, nell’ala dove oggi si trova l’Atm point. Questo è il rifugio più grande, a uso pubblico, fatto costruire dal Comune nel 1943: poteva ospitare circa 1.400 persone. Fu progettato dall’ingegnere Luigi Lorenzo Secchi, artefice della ricostruzione del Teatro alla Scala dopo il bombardamento. Ventiquattro colonne sostengono la soletta di copertura in cemento armato spessa 2,5 metri, antiscoppio". Si accede dalle scale a destra, guardando la cattedrale.

"Due porte – racconta Padovan – erano riservate agli eventuali "ipritati", che fossero stati colpiti da un aggressivo chimico: l’iprite. Prima di raggiungere gli altri venivano lavati con soluzione salina". Altro punto d’approdo a prova di bomba, "il bunker della Regia Prefettura in via Vivaio, del 1943: ha un piano sotterraneo che era destinato al Prefetto e ai suoi collaboratori e uno semi sotterraneo, riservato al personale femminile dell’Amministrazione provinciale". Anche questo, con soletta in cemento armato.

Terzo, il sotterraneo tra le vie Luini e Ansperto, in pieno centro, "costruito per il Corpo dei Vigili del fuoco. Lo spessore di almeno una delle pareti della camera è di 2 metri di cemento armato". Per essere ritenuto sicuro, un rifugio doveva avere caratteristiche precise: "Essere in cemento armato, quindi a prova di bomba. Avere porte blindate antiscoppio e antigas. Terzo requisito: avere un impianto di ventilazione forzata e filtrazione dell’aria". Ritenuti poco affidabili tutti i siti nelle cantine di complessi residenziali e scuole. Molti sono stati ripuliti e oggi sono oggetto di studio oltre che meta di visite guidate. Non solo: scavi hanno fatto riemergere rifugi rimasti sepolti per oltre 70 anni, come quello tra via Melchiorre Gioia e via Pirelli, affiorato lo scorso maggio nel cantiere sorto per costruire due grattacieli: sui muri, le scritte “Vietato fumare”, “Attenzione al gradino”. In un angolo, sporche di fango, delle bottiglie di vetro. Famiglie e lavoratori delle fabbriche scappavano lì sotto al suono delle sirene. Immagini che in una parte del mondo sono tornate realtà.