Regione Lombardia, guerra legale sul bonus bebè

Silvia Piani, assessore regionale alle Politiche per la famiglia, ha fatto sapere che la Regione sta valutando di impugnare la sentenza della Corte d’Appello di Milano

Nenoati (Archivio)

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Milano, 6 marzo 2019 - Guerra legale sul bonus bebè. Silvia Piani, assessore regionale alle Politiche per la famiglia, ha fatto sapere che la Regione sta valutando di impugnare la sentenza con la quale la Corte d’Appello di Milano ha definito «discriminatorio» l’inserimento del requisito della residenza tra quelli necessari per chiedere il contributo economico mirato a sostenere la natalità. Un annuncio, quello dell’assessore, scandito ieri in Consiglio regionale in risposta all’interrogazione presentata dalla consigliera regionale del Pd, Paola Bocci.

«La Regione Lombardia – ha detto Piani – sta valutando se ricorrere in Cassazione contro la sentenza che ha bocciato la misura del bonus bebè. Per noi dare la precedenza per l’accesso alle misure di sostegno a chi è in possesso del requisito della residenza continuativa non è un problema né di provenienza né di colore della pelle, ma una scelta di equità nei confronti di chi vive in Lombardia – ha spiegato l’assessore –. Siamo tuttavia in attesa di leggere il dispositivo per decidere quali possono essere gli elementi utili a proporre un ricorso in Cassazione contro questa sentenza del Tribunale che ci ha ordinato di riscrivere e riaprire il bando approvato nel 2015 dalla Giunta Maroni, e che rispettiamo». «Da un punto di vista politico – ha rimarcato Piani – non intendiamo mettere però in discussione la volontà di mantenere il requisito dell’anzianità di residenza anche nelle misure future e in quelle in essere. Applicheremo la sentenza per gli aspetti amministrativi dichiarati discriminatori, ingiustamente a mio parere, ma ci limiteremo a quanto strettamente dovuto. Lascio valutare poi ai lombardi la coerenza di chi ci attacca in Consiglio su questo tema e poi a Roma applica, giustamente e doverosamente, il criterio dei 10 anni di residenza come requisito per ottenere il reddito di cittadinanza».

Nel dettaglio, la sentenza della Corte d’Appello fa riferimento, come detto, ad una delibera della Giunta regionale risalente al 2015, quindi al mandato del governatore Roberto Maroni. Quella delibera prevede si abbia il requisito dei 5 anni continuativi di residenza in Lombardia, e da parte di entrambi i genitori del nuovo nato, perché si possa far domanda del contributo. Ad impugnare il provvedimento sono state l’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione e la onlus “Avvocati per niente” perché convinti che il requisito fosse discriminatorio in particolare per gli immigrati ed in generale per i non lombardi. Da qui riparte Bocci per la sua controreplica: «La Giunta leghista non fa marcia indietro e si ostina a discriminare chi vive in Lombardia. La delibera del 2015 è evidentemente discriminatoria ed in palese contrasto con i dettati dalla Corte costituzionale. La maggioranza leghista, però, si ostina a sostenere un’ideologia che considera lombardi solo alcuni e ignora invece i tantissimi che provenendo da altre regioni o da altri Paesi contribuiscono in modo altrettanto significativo alla crescita della Lombardia e hanno gli stessi diritti. Il ricorso in Cassazione è uno schiaffo a tutti loro».

giambattista.anastasio@ilgiorno.net

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