La beffa dell’assegno unico. "L'Inps me l'ha tagliato perché sono vedova. E' ingiusto"

Il marito è deceduto nel 2016, Rossella Rota fa l’insegnante alla scuola primaria e ha due minorenni a carico. Le maggiorazioni scattano soltanto se entrambi i genitori lavorano

Si definisce una "orgogliona", un neologismo di sua invenzione col quale vuole far capire di non essere una che chiede aiuto volentieri. "Quando qualcosa mi spetta, però, sono pronta a battermi".

Rossella Rota
Rossella Rota

E Rossella Rota si sta battendo già da un paio di mesi. A settembre, infatti, si è vista decurtare l’importo dell’assegno unico. Altrettanto è accaduto ad ottobre e a novembre: "Prima percepivo 410 euro al mese, adesso ne percepisco 350". In tutto sono 60 euro in meno al mese. Quando Rossella ha contattato l’Inps ha capito che l’importo le è stato ridotto perché nella sua famiglia c’è un solo genitore che lavora: lei.

La spiegazione che ha ricevuto questa madre è la stessa che ha ricevuto ieri pomeriggio Il Giorno quando a sua volta ha contattato l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale: "La maggiorazione dell’assegno unico per ciascun figlio minore, pari a 30 euro mensili, è prevista nel caso in cui entrambi i genitori siano titolari di reddito da lavoro dall’articolo 4, comma 8, del decreto legislativo numero 230 del 2021 – hanno fatto sapere dalla sede romana dell’Istituto –. Il tenore della norma, la relazione tecnica illustrativa e le tabelle allegate al decreto – hanno sottolineato subito dopo – escludono, allo stato attuale, il pagamento a nuclei monocomponenti a qualsiasi titolo". Tradotto: non importa la ragione per la quale una madre è sola. Ai fini del calcolo dell’importo dell’assegno conta soltanto che all’interno della famiglia non ci siano altri percettori di reddito. Punto.

L’Inps – vale la pena ricordarlo – non fa che applicare quanto previsto dalla legge. Il tema, allora, è proprio la legge. Rossella, 52 anni, insegnante di italiano, storia e geografia a tempo indeterminato alla scuole primaria, è l’unica a lavorare in casa perché suo marito è deceduto nel 2016 e le sue due figlie sono minorenni: la più grande ha 16 anni, la più piccola 13. Anziché essere sostenuta in quanto madre e donna lavoratrice impegnata a crescere due figlie minorenni con uno stipendio solo, Rossella di fatto viene penalizzata, si ritrova con una riduzione dell’assegno pari a 30 euro per ogni figlia, 60 in tutto. Detto altrimenti: viene penalizzata esattamente per le stesse ragioni per le quali sembrerebbe normale che fosse aiutata. E nella situazione di Rossella ci sono tante altre madri, tante altre famiglie monoparentali.

"È davvero difficile capire che cosa debba fare una madre sola per poter crescere i propri figli con tranquillità in questo Paese – dice, amareggiata, Rossella –: 60 euro in più al mese sono un aiuto se si è da soli, sono utili anche solo per fare la spesa. Io ho ridotto al minimo altre uscite, non ho alcun vizio, faccio a meno di parrucchiere e vacanze, faccio tutto quello che è in mio potere fare per farmi bastare lo stipendio da insegnante, mestiere fondamentale ma troppo poco considerato in Italia, come ben sappiamo. Ma – ribadisce Rossella – non può essere che, in più, si venga pure penalizzate se si è vedove, se si è madri lavoratrici senza un’altra retribuzione sulla quale poter contare. Per fortuna le mie figlie vogliono studiare e io devo e voglio fare di tutto per consentirglielo. La più grande ha un disturbo specifico dell’apprendimento, una discalculia e una diagnosi medica in cui si attestano le sue difficoltà emotive. Ma suona il violino da quando aveva 5 anni. Ora frequenta il liceo musicale ed è entrata all’orchestra sinfonica junior de La Verdi – racconta Rossella –. La piccola è una eccellente studentessa e l’anno prossimo frequenterà il liceo classico. Sono orgogliosa di entrambe perché, con me sola, stanno vincendo questa sfida che la vita ha posto loro di fronte".

 

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