Bimbo caduto dalle scale a scuola, la disperazione del papà: "Mio figlio lasciato solo"

"Mio figlio è alto un metro e 17 centimetri, il parapetto 80"

Una delle rampe di scala della scuola Pirelli

Una delle rampe di scala della scuola Pirelli

Milano, 19 ottobre 2019 - «Non c’è sorveglianza» quando i bambini vanno in bagno? Non si usa chiamare un bidello per accompagnarli?». La voce è quella del papà del bimbo precipitato ieri mattina dal secondo piano della scuola elementare Giovanni Battista Pirelli di via Goffredo da Bussero, zona Bicocca, e atterrato al piano meno 1 dopo un volo di 11 metri. Parla con un carabiniere in un atrio dell’ospedale Niguarda, dove i medici stanno cercando di salvare la vita del suo piccolo. La disperazione negli occhi. A poco a poco quel micro spazio tra due rampe di scale, stretto tra due porte, si riempie di familiari e amici. Tutti lì per consolare. Seduti sui gradini, in piedi, appoggiati a una parete. Poche parole, tanti abbracci per i due genitori del piccolo. Straziati. Chiamati d’urgenza dopo la disgrazia, sono arrivati a scuola subito, dal loro bambino. «L’unico figlio», dice un conoscente. Ha iniziato la prima elementare poco più di un mese fa, la 1 C, e deve compiere 6 anni a dicembre. Mamma e papà lo hanno seguito dall’ambulanza all’ospedale e lì sono rimasti. La voglia di parlare è poca. Immensa, la speranza. La si legge negli occhi del papà, insieme alla disperazione.

Cosa sa dell’episodio? «So solo che mio figlio era andato in bagno, con altri due compagni da quel che mi è stato riferito. Ma lui aveva finito prima, era uscito e li stava aspettando per rientrare in classe». Pensa che potrebbe avere scavalcato la ringhiera o essersi sporto? «Non sappiamo se abbia scavalcato. A me pare difficile. Aspettiamo di sapere i risultati degli accertamenti». Cosa sa di quella ringhiera? «Nulla... So solo che mio figlio è alto 1 metro e 17 centimetri e che il parapetto sarà di 80 centimetri. Non so cosa possa essere successo ma mi auguro lo accerteranno presto». Pensa che avrebbe dovuto essere sorvegliato da un adulto? «Penso di sì. Ma non posso dire altro, non posso parlare né voglio, finché non si saranno chiariti i fatti». Una dottoressa si affaccia da una porta. Tutti si avvicinano a lei sperando in una notizia positiva. Ma non ci sono novità. Il bambino è nelle mani dei medici, in sala operatoria, in quel momento. Ha riportato un trauma cranico “severo“, lesioni interne, la frattura del bacino. Viene trasportato in Rianimazione, in condizioni gravissime. «Il bambino sta molto male», ripetono in serata i familiari. Nel frattempo, in quell’atrio dell’ospedale, il gruppo di persone aumenta. Tutti hanno le lacrime agli occhi, nessuno se la sente di parlare. Resta la speranza. La voglia di stare uniti per rendere più sopportabile un dolore indicibile.

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