Svolta elettrica e materie prime. L’automotive affronta la tempesta

In regione mille aziende e 50mila addetti, dopo la batosta Covid la fuga delle multinazionali

Il settore automotive

Il settore automotive

Milano - La tempesta perfetta. L’acciaio che aumenta di prezzo quasi fino a sfiorare il raddoppio, a quota 1.300 euro la tonnellata, i microchip che non si trovano e le forniture che rallentano, perché i produttori siderurgici e di componenti europei ancora non riescono a far fronte alla domanda, mentre la Cina fa incetta di materie prime. E per ultima la conversione elettrica, sempre più veloce, su cui spinge la Commissione europea al punto da ipotizzare l’addio ai motori tradizionali entro il 2035.

L’orizzonte di incertezze dal quale l’industria dell’automotive lombarda sta cercando di uscire dopo la mazzata della pandemia non mostra schiarite. Dopo l’anno nero della paralisi, in cui il fatturato è calato di circa il 20%, le mille imprese lombarde del settore, con oltre 50mila addetti e 20 miliardi di giro d’affari, si trovano di nuovo nell’incertezza. Non ci sono impianti di assemblaggio di auto in Lombardia (finiti i tempi di Alfa e Innocenti da oltre 20 anni), ma 3.200 dipendenti di Iveco rendono Brescia la prima provincia per questo campo, 18mila addetti e 7 miliardi di fatturato. 

Dalla Lombardia freni, iniettori, pompe, cablaggi elettrici, componenti per cruscotti, cerchi, apparecchiature di ogni tipo, finiscono sotto il cofano e nell’abitacolo di fuoriserie come le Ferrari, di utilitarie e camion, assemblati in Italia e in Europa. Dal 2008, anno della grande crisi, la domanda estera è cresciuta del 27%, sganciando sempre di più la produzione dall’universo Fiat. L’occupazione, cresciuta solo del 9,7%, invece, stagna ancora e rischia adesso di crollare. Primo sintomo di incertezza, la fuga delle multinazionali e dei fondi esteri. Bosch sta cercando qualcuno che compri lo stabilimento di Offanengo, nel Cremasco: 423 dipendenti e 62 somministrati.

E commesse fino al 2024, per colossi dell’automobile, anche per i nuovi modelli ibridi di Maserati. Ma qui si producono soprattutto pezzi per auto tradizionali. Il futuro non dà certezze. Così si cede, strada già seguita per Magneti Marelli, a Corbetta, nel Milanese, che la galassia Agnelli ha venduto ai cinesi. Chi ha certezze, invece, è il fondo tedesco che controlla la Gianetti Ruote di Ceriano Laghetto, in Brianza: 152 licenziati in tronco, chiusura, e lo scenario di produrre magari all’estero, a costi più bassi. Ma ora si fa avanti un compratore e si apre la strada dell’incontro al ministero. Alla Brugola, stabilimenti a Lissone, sempre in Brianza, e a Detroit, continua la cassa integrazione per i lavoratori meno specializzati. Qui scontano sia il prezzo dell’acciaio che le incertezze: alla Oeb sono nate le celebri viti a “brugola“, ma si fanno anche le viti di fissaggio dei motori. Quelli a benzina e diesel. E l’elettrico è ancora una storia da scrivere. Come quella dell’automotive lombardo. 

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