"Mettiti nelle scarpe" di un bimbo autistico per capire chi è e aiutarlo nel cammino

Gli Inglesi dicono: prova a metterti nelle mie scarpe. Un’espressione più “calzante” dei “panni” italiani, perché implica l’opportunità di camminare verso una meta: la consapevolezza

Fabrizio, Daniela Centanni, Fabrizia Rondelli, Tommy e il papà Nicola Giannasso

Fabrizio, Daniela Centanni, Fabrizia Rondelli, Tommy e il papà Nicola Giannasso

Milano, 2 giugno 2017 - Gli Inglesi dicono: prova a metterti nelle mie scarpe. Un’espressione più “calzante” dei “panni” italiani, perché implica l’opportunità di camminare verso una meta: la consapevolezza. È proprio questo il senso del progetto che quattro associazioni di familiari di bambini e ragazzi autistici lanciano a partire da lunedì. Sette incontri intitolati “Ascolta i miei passi - Se vuoi conoscere l’autismo indossa le mie scarpe e ascolta la mia storia”. Non dotte conferenze, dunque, ma racconti di vita vera, per squarciare il velo di ignoranza e pregiudizio che tende a “fare di tutti i disabili un mazzo”, considerandoli umanità a perdere. E a voltarsi dall’altra parte, magari limitandosi a pensare: “Fortuna che non è successo a me”.

Quelli cui invece “è successo” hanno unito le forze per combattere la battaglia comune di aiutare i figli di tutti e tendere la mano ai purtroppo numerosi nuovi arrivati: secondo gli studi più recenti, in Europa sviluppa una qualche forma di autismo (lo spettro è assai ampio) un bambino su 77. Ciascuno è diverso, anche se alcune caratteristiche li accomunano: l’insorgere della regressione intorno ai due-tre anni, l’incapacità di relazionarsi con gli altri.

«Ma i dati testimoniano che i bimbi con diagnosi precoce e trattamento adeguato arrivano a un recupero, qualche volta completo - spiega Fabrizia Rondelli di Ortica -. Serve un’alleanza tra tutti i soggetti coinvolti: famiglie, strutture sociosanitarie e scuole. In Gran Bretagna funziona, perché da noi no?». Il sostegno scolastico è parziale e spesso carente per mancanza di formazione e orari ridotti, i costi dell’assistenza altissimi. Quasi sempre almeno uno dei genitori deve lasciare il lavoro per dedicarsi al malato.

Fabrizia non si è tirata indietro: quando a suo figlio hanno diagnosticato l’autismo, lei è tornata all’università per diventare educatrice. E mettersi in grado di aiutare il suo ragazzo, ma anche tutti quelli che soffrono come lui. «Non bisogna scordare mai che sono persone: ognuna diversa dall’altra, con lacune ma anche grandi potenzialità – puntualizza Daniela Centanni di Dosso Verde –. A far conoscere la malattia fu trent’anni fa il film “Rain man”. Il protagonista aveva memoria prodigiosa e incredibili capacità di calcolo. Molti autistici hanno talenti simili, non solo nella matematica o nella fisica ma anche nell’arte, nella musica... L’autistico ha percezioni sensoriali nettamente superiori alla media, un odore o un rumore forte può sconvolgerlo.

Ha anche un’attenzione maniacale per il dettaglio, cosa che fa di lui un lavoratore preciso e affidabilissimo, ma le mansioni gli vanno insegnate nel modo giusto. Lo stesso vale per la scuola. Eccellenza e lacune spesso convivono nello stesso studente. Molto dipende anche dal rapporto con l’insegnante: per un ragazzo autistico una lode apre mille porte, un rimprovero può chiuderle tutte di colpo». Ma aldilà dell’efficienza, il vero problema delle persone autistiche è farsi degli amici.

«Comprensione e accoglienza fanno la differenza – aggiunge Nicola Giannasso di Monelli Ribelli –. Per questo a settembre andremo nelle scuole elementari di Cesano Boscone e Trezzano a parlare con i bambini». «Sbaglia chi pensa che gli autistici non abbiano emozioni solo perché non le esprimono in maniera convenzionale: è vero il contrario – riprende Rondelli –. Soffrono e si innamorano proprio come noi. Soprattutto nell’adolescenza sono sconvolti dall’intensità delle loro passioni e se non hanno accanto chi li aiuti e comprenda possono esser preda di rabbia e aggressività, quasi sempre autodiretta».

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