MARIANNA VAZZANA
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L'esperto di adolescenza sui suicidi: "I ragazzi hanno bisogno di essere ascoltati"

L’allarme di Ivano Zoppi, presidente dell’Associazione Pepita: senza interventi concreti, si rischia l’escalation di giovani suicidi

L'articolo del Giorno sugli ultimi casi di cronaca a Milano

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Milano - «Siamo collegati con il mondo ma non siamo connessi con noi stessi. I ragazzi sono in sofferenza da tempo: il periodo di pandemia li ha tenuti aggrappati spesso solo a una realtà virtuale. Hanno bisogno di qualcuno che li ascolti, che sia in grado di cogliere i loro disagi. I suicidi degli adolescenti non mi colgono di sorpresa perché da mesi noi educatori lanciamo l’allarme, preoccupati proprio in vista del ritorno a scuola". Ivano Zoppi, presidente dell’associazione Pepita e segretario generale della Fondazione Carolina (dedicata a Carolina Picchio, prima vittima di cyberbullismo, che si tolse la vita nel 2013) riflette sulle tragedie di lunedì, primo giorno di scuola: poco dopo le 7, a Bollate, una quindicenne è precipitata dal settimo piano ed è morta. Avrebbe lasciato un biglietto per spiegare il gesto. Un’ora dopo, una ragazzina di 12 anni si è buttata dal quarto piano di un palazzo in una zona semi-centrale di Milano ed è stata ricoverata in Rianimazione al Niguarda. Nel tardo pomeriggio, un quindicenne di origine cinese si è tolto la vita lanciandosi da casa, al dodicesimo piano, alla periferia nord. È ancora da capire cosa si nasconda dietro i gesti estremi ma in quest’ultimo caso i parenti temono possa esserci l’ombra di una sfida on line. Un pensiero suggerito dal ritrovamento di un biglietto scritto a mano: "Se farai questo, mi darai molto piacere. Se ora partirai, anche tu resterai solo. Se fossi un’aquila, volerei subito da te". Presidente, cosa pensa riguardo alla «vita on line»? "È chiaro che i ragazzi si rifugiano dove trovano ascolto. Noi adulti cosa stiamo facendo? Si dice spesso che i giovani sono il nostro futuro, ma per questo futuro come ci stiamo attivando? La virtualità, se non trovano ascolto e attenzione, diventa il loro unico rifugio. Se non ci svegliamo, il rischio è che questi episodi non siano casi isolati, ma aumentino senza sosta". Quali possono essere i segnali da cogliere, come campanelli d’allarme? "Se i nostri figli restano connessi ore e ore. Se non parlano con nessuno o, magari, si staccano da Internet in maniera improvvisa. Da non sottovalutare anche manifestazioni di rabbia o voglia di isolarsi". Come gli adulti possono «svegliarsi»? "Proviamo ad ascoltare e a guardare i ragazzi. Noi, l’intera comunità educante: i docenti, gli allenatori, gli educatori. Se non c’è una rete di supporto si può fare poco. In questi casi di suicidi e tentato suicidio, è possibile che nessuno degli adulti di riferimento non abbia colto segnali? La rete di supporto è un primo passo ma non basta". Cos’altro occorre? "Parlare sempre con i ragazzi, anche attivando sportelli di ascolto nelle scuole, negli oratori e nelle associazioni sportive. Non bisogna parlare di questi casi solo quando succedono, e vale anche per i mezzi di comunicazione. Noi educatori diciamo da tempo di essere preoccupati per la situazione post Covid. L’elemento più importante è la predisposizione all’ascolto. Ci vuole un cuore, uno sguardo nuovo verso i ragazzi, far capire loro che li guardiamo accettandoli come sono. Tanti adulti hanno una responsabilità, anche chi gestisce i social e le piattaforme dei giochi virtuali: chi accoglie i ragazzi nel loro contenitore ha una responsabilità. Chiamo in causa anche il ministero per le Politiche giovanili: occorre venire sul campo, pensare a interventi affinché i ragazzi siano seguiti, soprattutto in questo momento di ritorno alla realtà, non virtuale".