Attacchi, ferite e scontri senza quartiere: da Milano al Donbass in armi per Putin

Massimiliano, Vittorio e Gabriele nel territorio conteso fra russi e ucraini

BLINDATI Milizie sul fronte ucraino

BLINDATI Milizie sul fronte ucraino

Milano, 27 giugno 2018 -  «Finalmente il passaporto è arrivato: dopo aver combattuto per quattro anni sui fronti più caldi del Donbass, aver perso molti amici in combattimento ed essere stato ferito tre volte, ora sono ufficialmente un cittadino della Repubblica Popolare di Donetsk». Massimiliano Cavalleri mostra con orgoglio il documento, in una foto pubblicata sul suo profilo Facebook. Il 33enne bresciano, nome di battaglia “Spartaco”, è uno dei lombardi partiti per combattere nel Donbass, la regione dell’Ucraina insanguinata dalla guerra civile iniziata nell’aprile 2014, quando la Repubblica Popolare di Donetsk e la Repubblica Popolare di Lugansk proclamarono l’indipendenza scatenando la reazione dell’esercito.

Foreign fighter italiani, inquadrati nelle milizie separatiste filo russe. Un conflitto dimenticato, rimasto nel limbo, a quasi tremila chilometri dall’Italia, con i social che accorciano le distanze e diventano terreno per reclutare nuovi sostenitori. Dal 2014 sono una ventina gli italiani partiti per il Donbass (almeno tre i lombardi), che hanno raggiunto la Russia in aereo e poi il fronte con altri mezzi. E sono spuntate decine di pagine Facebook, blog e una galassia di associazioni che sostengono le istanze separatiste. La Rappresentanza della Repubblica Popolare di Donetsk in Italia, il Donbass International Forum, il Comitato per il Donbass Antinazista, Comitato Ucraina Antifascista Milano, solo per citarne alcune.

Il lecchese Vittorio Nicola Rangeloni, altro lombardo in Donbass, è attivissimo sul web. Pubblica articoli, bollettini e foto dal fronte, scatti in tuta mimetica. Commemora i miliziani scomparsi. È partito nel 2014, come il terzo lombardo che ha fatto rotta verso Est. Gabriele Carugati, 29 anni, nome di battaglia “Arcangelo”, è cresciuto a Cairate, in provincia di Varese. Sua madre, Silvana Marin, all’epoca segretaria della sezione locale della Lega, aveva appoggiato la sua scelta: «Mi rende orgogliosa, ma come madre ho una pena nel cuore».

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