Estorsioni, sparatorie e risse: ecco come si muovevano i clan della 'ndrangheta

L’ascesa dei Morabito tra il terrore dei commercianti: "È gente che spara per niente". La rete criminale di Lugarà

L'operazione dei carabinieri

L'operazione dei carabinieri

Milano, 27 settembre 2017 - «Peppe è mio fratello». Una frase che il gip Marco Del Vecchio non si spiega, specie se pronunciata da un affiliato col pedigree come il 24enne Ludovico Muscatello. Non si spiega perché l’erede del clan che ha sempre comandato dalle parti di Mariano Comense vada in giro a parlar bene di Giuseppe Morabito, «capo» di Domenico Staiti e Rocco Depretis, i due condannati per avergli sparato alle gambe il 10 ottobre 2015.

O meglio, il giudice se la spiega «solo nella misura in cui vi è stata una composizione a monte del conflitto instauratosi con l’instaurazione di nuovi equilibri di potere e la reciproca accettazione di tali nuovi equilibri». Proprio così: a un certo punto, i Muscatello hanno deciso di fare un passo indietro per non entrare in rotta di collisione con «Peppe», nipote del boss Tiradrittu. Eppure, i suoi ragazzi venuti su dalla Calabria hanno fatto di nulla per scatenare una faida tra clan, provando a mettere in discussione equilibri maturati in mezzo secolo di attività criminosa. Tutto inizia il 5 ottobre di due anni fa. Muscatello jr lavora come addetto alla sicurezza del locale «Spazio Renoir» di piazza Garibaldi a Cantù. «Un gruppo di persone presenti all’interno del locale andavano in escandescenza devastando il locale – la ricostruzione di quella notte dei carabinieri – rompendo bottiglie e mettendo a soqquadro gli arredi della discoteca». Intervengono i buttafuori, compreso «Ludo», come lo chiama il proprietario, che rifila una bottigliata in testa a Staiti, costretto ad andare in pronto soccorso all’ospedale Sant’Anna per farsi medicare. Tutto finito? No, la storia è appena iniziata.

Sì, perché cinque giorni dopo scatta la vendetta: Muscatello viene sorpreso in un panificio e gambizzato. È la prima puntata del «Romanzo criminale» in salsa brianzola. Ludo cambia aria, spostandosi nel Milanese. Ora ci sono «quelli di Africo» a spadroneggiare. Un’escalation di violenze e angherie. Il 15 ottobre, il titolare del bar Commercio trova un proiettile calibro 9 parabellum sul tettuccio della sua macchina parcheggiata. Il 26 novembre, al termine di una banale discussione in strada, il branco terrorizza un automobilista sparando alcuni colpi di pistola contro la portiera del veicolo. Passiamo al 10 gennaio 2016, quando, ancora all’esterno dello «Spazio», scoppia una violenta rissa: avranno la peggio due avventori del locale, prima provocati con una scusa all’interno di un kebab e poi pestati. Cinque giorni dopo, una molotov scoppia sempre davanti allo «Spazio», incendiandone l’insegna. Altra aggressione il 31 gennaio. Gli autori fanno parte dello stesso gruppo: «Gente che spara per niente», li definirà un commerciante rimasto a lungo in silenzio per paura di ritorsioni. «Facciamo buon viso a cattivo gioco», la frase che circola tra gli esercenti della zona, impotenti davanti alle crescenti prepotenze e incapaci di denunciare con forza la situazione ai militari. Del resto, dirà uno di loro agli investigatori dell’Arma, «a Cantù è meglio comportarsi così con i calabresi in genere, poiché storicamente creano problemi se gli vengono addebitate tutte le consumazioni».

Sta di fatto che Morabito e compagnia prendono piede, allargando il campo alle estorsioni, altro reato-spia della voglia di segnare il territorio: alcuni negozianti cominciano a ricevere assegni da cambiare che poi si riveleranno scoperti; altro non è che «pizzo», tanto che, scrive il gip, «quelli tra imprenditori e commercianti più avvezzi a tali richieste neanche più pongono all’incasso i titoli provenienti da soggetti esponenti delle organizzazioni criminali di stampo mafioso». A proposito di imprenditori, ci sono poi quelli che si affidano completamente ai delinquenti, affollando quella zona «grigia» più volte denunciata dal pm Ilda Boccassini. Uno di questi è Antonino Lugarà, trait d’union tra politica e ’ndrangheta. Ne ha parecchie di conoscenze, il costruttore edile che sponsorizzò il sindaco di Seregno Edoardo Mazza per realizzare un centro commerciale su un’area dismessa. Il suo link con la malavita organizzata è Carmelo Mallimaci, sodale degli ’ndranghetisti Giuseppe Morabito e Domenico Staiti della locale di Mariano Comense: a lui si rivolge per risolvere una controversia privata legata a un credito e a un quadro reclamato dal debitore. «Digli che ce l’hanno gli altri Africesi... hanno detto di andare a prenderlo», gli suggeriscono di riferire a chi si lamenta. Lugarà scomoda gli amici anche il giorno di Natale del 2015, quando la casa della figlia viene svaligiata dai ladri. Alla fine, parte della refurtiva verrà ritrovata da un runner lungo una pista ciclabile. «Non sono neanche tanto professionisti...», allarga le braccia lui.

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