Dalla Spagna a Milano: in trappola il super latitante Calì

Blitz della Mobile: arrestato il narcotrafficante del clan Pagnozzi. Era scappato nell’ottobre 2018, si era nascosto in un appartamento di Porta Venezia

L'arresto del latitante Antonino Calì

L'arresto del latitante Antonino Calì

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MILANO - "Sì, sono Antonino Calì" . Mattina di mercoledì, Porta Venezia. Un uomo esce dal portone di via Frisi 11 e si incammina verso la metropolitana: gli agenti della Mobile, che da 48 ore stanno monitorando quello stabile di ringhiera con telecamere e binocoli, lo riconoscono immediatamente e lo bloccano dopo poche centinaia di metri. Lui non oppone resistenza e rivela subito le sue generalità, diverse da quelle riportate sulla carta d’identità falsa: Sergio Calì, nato a Roma il 16 novembre 1960. Sono corretti solo il cognome e il luogo di nascita, il resto no: quell’uomo è Antonino Calì, nato a Roma il 25 ottobre 1953, ricercato da due anni e mezzo.

Indagini, processi e sentenze ne tratteggiano il profilo da broker della droga di primo livello, legato a famiglie malavitose come Casamonica, Gambacurta e Pelle e uomo di punta del clan camorristico Pagnozzi in "approvvigionamento, custodia e stoccaggio di sostanza stupefacente": risulta destinatario di un provvedimento definitivo di carcerazione per una pena complessiva di 29 anni, 8 mesi e 14 giorni di reclusione. Finito nel 2015 nella maxi operazione che aveva smantellato con 61 arresti un’organizzazione criminale sull’asse Roma-Napoli guidata da Domenico Pagnozzi (figlio del boss Gennaro alias ’o Giaguaro) e con legami con il clan Senese, tre anni dopo Calì aveva ottenuto i domiciliari in clinica; salvo poi scappare il 3 ottobre 2018, dopo aver manomesso il braccialetto elettronico.

Per circa due anni se ne sono perse le tracce, poi nel 2020 gli accertamenti investigativi della Squadra mobile di Roma lo hanno localizzato a Valencia. Di recente, è emerso un ulteriore spostamento del latitante: a Milano. Così sono scattati gli ulteriori approfondimenti, in collaborazione con i colleghi meneghini guidati dal dirigente Marco Calì, che hanno portato lunedì a quello stabile di due piani di via Frisi, una traversa di via Melzo.

A quel punto, è partito il servizio di osservazione per avere la certezza che il sessantasettenne si nascondesse proprio in uno degli appartamenti, preso in affitto da un’agenzia immobiliare: i poliziotti si sono appostati sulla terrazza e hanno atteso che il narcotrafficante uscisse. Fino all’altro ieri mattina: "Sì, sono Antonino Calì". Nel verdetto che il 17 febbraio 2020 ha reso definitiva la condanna a 20 anni per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti (ai quali va aggiunta quella a 11 anni del 2018 per una partita di cocaina da 322 chili sequestrata il 2 luglio 2012 a bordo del velerio "Già Halcyon"), i giudici della Cassazione hanno ricostruito il patto di ferro tra Calì e i Pagnozzi, risalente al 2009: il clan pagò al broker i debiti accumulati con altri gruppi criminali per "pregresse forniture di hashish", assicurandosi così il suo ingresso ufficiale nel gruppo che faceva capo a Domenico Pagnozzi alias "Ice".  

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