"Armati in file da due in formazione militare" Il film dell’agguato nei boschi del Rugareto

L’inchiesta dei carabinieri sul commando che ha ucciso Oudia Bouda. La faida tra pusher per le piazze di spaccio e i contatti col Marocco. Il presentimento della vittima: "Ecco i nomi di chi mi farà del male"

Nicola

Palma

i muovevano come una formazione... vi faccio un esempio, una formazione di aerei, quindi tre velivoli davanti e due dietro, chi imbracciava il fucile era l’uomo alla sinistra del gruppo, ovvero nella parte più interna...". Basta questa descrizione di un testimone oculare per farsi un’idea della spedizione punitiva andata in scena il pomeriggio del 2 aprile scorso, costata la vita al venticinquenne marocchino Ouadia Bouda, ucciso nei boschi del Rugareto dalla banda di spacciatori rivali. Sì, perché il nordafricano assassinato, stando a quanto emerso dalle indagini dei carabinieri di Legnano, era a sua volta il leader di un gruppo di pusher che si era conquistato un’importante piazza di spaccio nell’area verde in zona Rescaldina e che non aveva ceduto alle minacce degli avversari, decisi a riprendersi quella porzione di territorio a colpi di fucile.

Due giorni fa, come anticipato ieri dal Giorno, i militari hanno parzialmente chiuso il cerchio, arrestando due dei presunti assassini, entrambi connazionali della vittima: in cella, su ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del Tribunale di Busto Arsizio Stefano Colombo, sono finiti i ventinovenni Mohamed El Moundiry e Elhabib Rahoui; gli altri due indagati sono ancora ricercati dagli investigatori dell’Arma. Dagli atti emerge la dinamica del raid, un vero e proprio agguato peraltro preceduto da una serie di tentativi identici sventati nei mesi scorsi dalla prontezza di riflessi dei bersagli designati e dagli allarmi lanciati dalle vedette, tossicodipendenti italiani incaricati di fare da "palo" per disinnescare eventuali controlli delle forze dell’ordine. Un agguato sin troppo annunciato, considerato che nelle settimane precedenti Bouda era già stato ferito al braccio da un colpo di arma da fuoco. Il venticinquenne sapeva di essere nel mirino, tanto che qualche giorno prima avrebbe confidato a un conoscente i suoi timori e indicato con nomi e foto "i soggetti con i quali ho litigato e che potrebbero farmi del male". Gli stessi nomi sono stati messi a verbale da amici e complici nell’attività di smercio di stupefacenti, che con lui dividevano un appartamento a Cesano Boscone. Il movente? Un regolamento di conti per la supremazia nello spaccio di droga, con contatti certificati con altri narcos di base in Marocco. Il 2 aprile, Bouda entrò nel bosco attorno alle 9 per raggiungere la solita postazione nota a pusher e clienti come "sacchetto giallo"; nel primo pomeriggio, il gruppo si riparò da un improvviso temporale sotto una tenda di fortuna. Poi il blitz della gang dello "Zoppo" Moundiry: "Ricordo che L. impugnava il fucile e mirava – il racconto choc del cognato di Bouda, a sua volta colpito nella sparatoria –. Io non ho fatto il militare e non so come spiegarvelo. L. chiudeva un occhio per prendere la mira con l’altro. Dopo che lui è caduto a terra, il gruppo aggressore ha continuato a sparare ed è avanzato. Io mi sono avvicinato a Ouadia per soccorrerlo e in tale frangente sono stato ferito di striscio sopra l’orecchio sinistro e sulla coscia sinistra, sono stato attinto da alcuni pallini".

Per i militari, Moundiry non ha scelto a caso il 2 aprile per ammazzare il venticinquenne. Sì, perché proprio in quella data si è presentato per l’ultima volta alla stazione dei carabinieri di Greco Milanese "per adempiere alla misura cautelare dell’obbligo di firma", così da costruirsi un alibi secondo lui di ferro. In realtà, gli accertamenti hanno dimostrato che il ventinovenne ha avuto tutto il tempo per partecipare all’uccisione di Bouda a Rescaldina, avvenuta alle 16.50, e poi presentarsi alle 18.03 nella caserma di viale Testi, visto che si impiegano circa 35 minuti per coprire il tragitto di 33,2 chilometri.

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