L'arcivescovo Mario Delpini: "Milano è un po’ spaventata ma ha il cuore in mano" / FOTO

In visita nella redazione de Il Giorno: "Impegnamoci di più per il bene comune"

L'arcivescovo di Milano Mario Delpini in redazione con il direttore Sandro Neri

L'arcivescovo di Milano Mario Delpini in redazione con il direttore Sandro Neri

Milano, 31 gennaio 2019 - «La Milano col cuore in mano c’è ancora, risponde con creatività ai nuovi bisogni. A volte ha paura, ma continua a stupirmi per la sua generosità». Così l’arcivescovo Mario Delpini, invitato dalla redazione de Il Giorno per la benedizione della sede, racconta la città, le priorità, le prossime sfide e richiama a un giornalismo di qualità.

Arcivescovo, ha parlato di un “made in Italy” anche nell’informazione. In che senso?

«Penso ci siano altri modi di fare giornalismo rispetto a quelli legati a cronaca spiccia o poveri di speranza. Faccio un paragone con i prodotti di eccellenza italiani, spesso locali, ma buoni, qualificati. Il giornalismo “Made in Italy” può eccellere nel racconto del particolare e avere uno sguardo sul mondo».

Nei mesi scorsi il sindaco di Milano Beppe Sala ha parlato di un “sinodo laico“ della città per fare il punto sulle priorità. Ci sono stati incontri?

«Quando dobbiamo affrontare le visioni della Chiesa, le priorità, noi facciamo un sinodo. Questa idea è stata rilanciata dal sindaco. Ma non si tratta di un sinodo vero e proprio, penso che la città possa costituire momenti di incontro invitando le diverse agenzie e istituzioni a ragionare su priorità, emergenze, eccellenze e punti di forza. Più che a un incontro generale sulla città penso ai territori, convocando parroci, dirigenti scolastici, Caritas, municipi, forze dell’ordine».

Quali sono per lei le priorità?

«Ho avvertito che in alcuni quartieri la problematica è la qualità dell’abitare, la casa. Ci sono occupazioni abusive, forme di ghetto. In alcuni la priorità è affrontare il tema dello spaccio di stupefacenti, della corruzione giovanile e della dispersione scolastica. In altri la coesistenza di etnie diverse. Le priorità sono diversificate».

La Milano dal cuore in mano esiste ancora? O è stanca?

«Questa città continua a stupirmi per la sua generosità: doposcuola, scuola italiana per stranieri, distribuzione di viveri e vestiti, visita agli anziani soli, cura ai minori non accompagnati. In tutti i posti in cui vado continuo a scoprire forme che non conoscevo. Vedo la città dal cuore in mano, viva e creativa. Questo non toglie che ci sia anche un po’ di paura. La politica, gli slogan che si usano, inducono ad avere un senso di insicurezza, di “invasione”: i poveri vengono visti come minaccia per il benessere. Le statistiche ci dicono che quelli che vanno a messa la domenica la pensano esattamente come quelli che non ci vanno. Ed è gente che ascolta il Vangelo, che parla di accoglienza e solidarietà, ma non è in grado di reagire al clima di paura che viene tramesso. Serve responsabilità nella comunicazione».

Milano è sempre stata a forte tradizione cattolica ma anche un laboratorio di modernizzazione. Com’è cambiato il rapporto con la Chiesa?

«Ci sono fenomeni macroscopici, un abbandono della pratica religiosa dovuto alla secolarizzazione. Dall’altra parte c’è l’apprezzamento e il riconoscimento per quello che la Chiesa fa: viene identificata come agenzia che soccorre nelle emergenze, che offre spazi educativi. Due aspetti contrastanti. C’è una cosa che sono incline a ritenere un po’ tragica: mi sembra, dall’aria che tira, che la popolazione non abbia speranza di vita eterna, si dà per scontato che siamo fatti per morire. Lo sento come elemento di disperazione. Il cristianesimo è visto come una onlus che fa del bene ma in un’orizzonte senza speranza».

C’è una sfiducia anche nella politica. Il mondo cattolico si tiene ancora lontano?

«Penso sia una tentazione diffusa. Ci sono fasi. C’è stata una fase in cui, con la Democrazia Cristiana, si stava forzatamente insieme, con diversificazioni molto forti all’interno. C’è stato un periodo in cui l’unità cristiana si è lacerata ma era forte l’appartenenza, cattolicesimo di sinistra, cattolicesimo di destra, si diceva, per schematizzare. Poi c’è stata una sorta di desolazione del panorama nazionale, e la responsabilità non è stata solo dei cattolici. La politica era diventata la politica del pollaio, con spartizione di interessi, ha vinto il non parliamo di politica se no ci dividiamo. Ora a me sembra di respirare un auspicio, che il mondo cattolico si faccia carico almeno di un confronto. Mi pare di percepire il desiderio di non dedicarci solo al sociale ma al bene comune».

Anche in vista delle Europee?

«Da diverse parti sento dire che l’appuntamento europeo sia un’occasione per cominciare a parlarci da cattolici, per avere un’idea di cosa vogliamo sia l’Europa. Non possiamo vivere senza Europa: è una questione imprescindibile anche per i papi, papa Giovanni Paolo II Benedetto XVI e papa Francesco hanno fatto discorsi prospettici. Per quanto potrò, incoraggerò le comunità cattoliche a incontrarsi per vivere il prossimo appuntamento con responsabilità».

C’è stato un incontro da quando è arcivescovo che è stato particolarmente rivelatore?

«Tanti. Adesso sono in visita pastorale, incontro le singole parrocchie, si sente la voglia di ragionare insieme. C’è l’incontro di massa a San Siro con i cresimandi, festoso, ma mi colpisce anche quello con forze dell’ordine, operatori delle banche, della moda e del commercio, persone con grandi professionalità che vengono volentieri per il desiderio di un confronto. Non derivano immediatamente progetti comuni ma sono sempre costruttivi».

E sono nate alleanze, ha lanciato un’iniziativa forte contro mafie e usura con i parroci.

«Sì. Ed è solo l’inizio».

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro