
Aperitivi, hi-tech e guai col Fisco. Dopo Campari, nel mirino Google: "Evasi quasi 900 milioni di euro"
di Andrea Gianni
MILANO
Dagli aperitivi all’hi-tech, colossi legati da analoghi guai con il Fisco. Dopo quello sul gruppo Campari spunta un altro caso, anche se più datato, su una presunta evasione fiscale da parte di Google stimata dalla Guardia di Finanza di Milano di poco meno di 900 milioni e per la quale ora l’Agenzia delle Entrate chiede alla web company californiana di versare oltre un miliardo di euro, compresi sanzione e interessi. Due casi fotocopia perché, come è accaduto per la società celebre in tutto in mondo per il bitter nato a Milano quando correva l’anno 1860, a portare la Procura milanese a mettere sotto la lente Google è stata la trasmissione degli esiti delle verifiche fiscali chiuse un anno fa, con anche la denuncia di uno degli amministratori esteri, dal Nucleo di Polizia Economico Finanziaria.
Verifiche che hanno ipotizzato una "stabile organizzazione immateriale", dotata di una sede di affari nel capoluogo lombardo, della filiale europea che ha il quartier generale a Dublino e, di conseguenza, una imposta evasa (Ires) stimata per 108 milioni su un imponibile superiore a 400 milioni. A ciò si aggiunge, secondo i calcoli, il mancato versamento nel nostro Paese delle royalties sui beni e servizi immateriali (licenze e software) fornite dalla società irlandese per oltre 760 milioni. Sono conti, questi, su cui l’Agenzia delle Entrate avrà l’ultima parola. Al momento, ha chiesto più di un miliardo per sanare la situazione con l’erario, ma la cifra verrà discussa con la controparte e probabilmente si arriverà a un accordo per un importo minore.
Non è la prima volta che la multinazionale americana finisce sotto indagine. Nel 2017 il gruppo di Mountain View, con versamento di 306 milioni, aveva chiuso le pendenze tributarie e sanato pure situazioni dei 15 anni precedenti. L’inchiesta penale, nella quale erano iscritti 5 manager per una evasione pari a 98,2 milioni di euro di imposta sui redditi di impresa, si era conclusa con un patteggiamento e quattro archiviazioni. La nuova inchiesta fiscale, coordinata dai pm Giovanna Cavalleri e Giovanni Polizzi, per certi versi ricalca quella su Netflix, società che nel maggio di due anni fa ha pagato 55 milioni e 850 mila euro circa in un’unica soluzione e ha aperto una sede operativa nel nostro Paese. L’indagine su Lagfin, la holding lussemburghese con cui la famiglia Garavoglia controlla il 51% del capitale di Campari, intanto, ha già fatto sentire i suoi effetti a piazza Affari. Per Campari è stata infatti una giornata sulle montagne russe in Borsa, con il titolo in caduta. La giornata si è chiusa con un -3,6%, attestandosi come uno dei peggiori titoli del listino principale. Lagfin, in una nota, ha spiegato di aver "sempre adempiuto ai propri obblighi tributari in tutte le giurisdizioni".