Ovuli rapinati, sette anni ad Antinori

La sentenza: il ginecologo interdetto, confiscati gli embrioni

Severino Antinori

Severino Antinori

Milano, 16 febbraio 2018 - Sette anni e due mesi di carcere per il ginecologo Severino Antinori, pioniere della fecondazione assistita. Per il tribunale è colpevole di aver prelevato forzatamente da una giovane donna otto ovuli, che poi avrebbe voluto rivendere ad altrettante coppie in cerca di figli. Tecnicamente, «rapina aggravata».

Il professore dovrà risarcire la parte lesa con 15mila euro ed è stato interdetto (a condanna definitiva) dall’esercizio della professione per cinque anni e mezzo. I giudici hanno disposto la confisca degli embrioni ancora sotto sequestro e deciso che alla clinica milanese Matris, dove operava Antinori, debbano rimanere i sigilli. «Colei che mi accusa è stata qualificata calunniatrice da un altro giudice, che a sua volta ne ha ordinato l’imputazione coatta» protesta il professore. L’infermiera spagnola che ha fatto scattare l’inchiesta è difatti imputata per calunnia in un procedimento parallelo voluto dal gip Luigi Gargiulo che, lo scorso ottobre, ha disposto l’imputazione coatta per la giovane spagnola non credendo alla sua versione.

L’ottava sezione del tribunale (presidente Luisa Ponti) l’ha però ritenuta attendibile condannando anche la segretaria del professore, Bruna Balduzzi, a 5 anni e 2 mesi, stessa pena inflitta all’anestesista Antonino Marcianò. Due anni a Gianni Carabetta, amico di Antinori, per una tentata estorsione con minacce telefoniche a una coppia di clienti della Matris che non voleva versare più di 25 mila euro per un figlio con la fecondazione assistita. Assolta invece l’altra segretaria Marilena Muzzolini. La giovane vittima, un’infermiera spagnola di origini marocchine, raccontò nella denuncia di essere stata immobilizzata, sedata e poi costretta a subire l’intervento. Nella sua deposizione disse di avere inizialmente accettato di donare i suoi ovuli dietro la promessa di ricevere 7mila euro, ma di essersi infine rifiutata perché «vietato dalla religione musulmana». Nonostante il suo diniego, Antinori e la segretaria Balduzzi l’avrebbero «afferrata con la forza» e portata in sala operatoria dove l’anestesista Marcianò le avrebbe «messo un braccialetto verde al polso» per poi procedere con l’anestesia. Con la sentenza è stata confermata l’accusa principale di rapina (nella quale è stato assorbito il reato di sequestro di persona) non le imputazioni di rapina del telefono della giovane e un’altra accusa di sequestro.

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