"Anni di divieti hanno lasciato il segno Il futuro è incerto"

Simone Castello

Simone Castello

I locali si rianimano, l’estate è stata un lungo concerto no stop, ma il futuro del settore, soprattutto per la fascia media e non mainstream, è pieno di incertezza. "Non sappiamo cosa aspettarci", confessa Simone Castello, promoter e fondatore dell’agenzia ed etichetta Costello’s.

Com’è stata l’estate?

"Molto particolare, perché ha visto condensato tutto ciò che era rimasto fermo e in sospeso per la pandemia. È stato il primo vero liberi tutti, abbiamo avuto un accavallamento di eventi mai visto prima e questo ha fatto collassare i piccoli. Chi ha resistito ha fatto molta fatica. L’estate scorsa è stata una mazzata, caratterizzata ancora dalle limitazioni, quindi si arrivava a questa già con le stampelle. Tanti promoter hanno cambiato lavoro".

Prima della pandemia dove si stava andando? "Dal 2015, quando sono esplosi i progetti di Calcutta e The Giornalisti, c’è stato un rinvigorimento del settore, dei live club. C’è stato un forte riconoscimento e posizionamento di queste carriere artistiche, che arrivavano dal basso. In Italia, però, siamo bravissimi a nascondere la polvere sotto il tappeto: invece di sfruttare quel momento per sistemare le falle e le fragilità del sistema, si è fatto finta di niente".

E col Covid sono tutte venute a galla, giusto?

"Esattamente. Molte figure non rientrano in nessuna categoria, non hanno una legislazione che sia calibrata alla loro situazione. Lo abbiamo visto con i decreti aiuti, ma non solo. Resistono le realtà che sono più strutturate, le grandi aziende o multinazionali. I piccoli e i medi crollano. Questo non riguarda solo il mondo della musica e dello spettacolo, è un tema più ampio, di come viene vista e gestita la piccola media impresa in Italia. Nella Costello’s siamo 4 liberi professionisti più alcuni collaboratori a cui facciamo riferimento a seconda delle esigenze: non possiamo rispondere alle stesse logiche di una srl".

La situazione attuale?

"In questo momento abbiamo fissato molto poco e in modo molto mirato perché non sappiamo come sarà il futuro. La sensazione è che questo macroperiodo di crisi abbia fatto molto male al movimento della controcultura, che ne esce quasi annichilita. Si fa molta più fatica. La fascia 20-25 anni, anche 27, è mancata ai concerti e prima rappresentava il 50%. Faccio autocritica: forse non intercettiamo i loro gusti con i nostri artisti, ma sentendo anche altri colleghi è così ovunque".

Dove è finito il pubblico universitario?

"A Milano abbiamo la fortuna di avere luoghi come Biko e Arci Bellezza, a cui ci stiamo appoggiando. Ma altre città sono rimaste senza un posto dove fare un certo tipo di cultura e musica, perché l’unico live club ha chiuso".

Laura Lana

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