Alla ricerca della gioia dell’abitare "È la moneta perduta, ritroviamola"

Monsignor Delpini nelle case popolari. Servono rivoluzioni: spirituale, culturale, sociale e contro l’illegalità. Il parroco: "Ci sono appartamenti e portinerie vuoti, uno scandalo. Ma c’è chi resiste e si impegna"

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di Simona Ballatore

"Visito la città come un mendicante che cerca la moneta perduta. La moneta perduta è la gioia di abitare a Milano e bisogna ritrovarla". L’arcivescovo Mario Delpini arriva tra i palazzoni e i panni stesi del Giambellino, in uno dei cortili delle case popolari di via degli Apuli. Ci sono gli anziani del quartiere ad accoglierlo, una signora gli porge i suoi guanti per resistere al freddo che punge, un bimbo lo guarda con gli occhi grandi a cavallo del papà in quella "città che corre, riqualifica quartieri e palazzi, fa spazio all’innovazione e all’eccellenza, seduce i turisti e gli uomini d’affare, ma demolisce le case popolari": lo aveva detto proprio Delpini, nel suo “Discorso alla Città“, il giorno di Sant’Ambrogio. Entra nel cortile per ascoltare gli abitanti, entra nelle case per un caffè, visita il mercato rionale.

"La sua presenza ci aiuta a non distogliere l’attenzione dal tema della casa e dell’abitare, che sappiamo quanto le stia a cuore", sottolinea don Ambrogio Basilico. Non è la prima volta che l’arcivescovo visita il cuore del Giambellino e sfiora i nervi scoperti. Lo racconta anche lui. "La prima volta sono venuto per una veglia ecumenica, ho attraversato il quartiere pregando", racconta. La seconda è stata "quasi di nascosto", sull’auto del questore nei suoi primi anni da arcivescovo. "Mi disse che dovevo andare in giro, senza avvisare, per vedere com’è la vita". La terza è stata nel “fuori campus“ del Politecnico, una visita di "studio". E poi c’è quest’ultimo incontro, autentico, tra rabbia, scontento ma pure spiragli, relazioni e progetti concreti, "ponti promettenti". "Abbiamo bisogno di una rivoluzione spirituale - dice l’arcivescovo -, dobbiamo trovare le forze per sperare e avere fiducia, imparare a costruire rapporti". Il termine "periferia" non fa per lui: "Non mettiamo etichette", sottolinea, come quella di "straniero": "Qui c’è chi si affatica, soffre, ci sono persone fragili, malate, bisogna imparare a conoscersi come persone, non come categorie". Altra rivoluzione: culturale. "Studiare la città, i suoi cambiamenti. Anche per evitare la Milano a due velocità, drammaticamente pericolosa". Ripercorre anche la visita del questore per chiedere una rivoluzione nell’organizzazione delle forze dell’ordine: "C’è bisogno di un intervento che contenga la malavita, che respinga l’illegalità - sottolinea Delpini - serve un controllo del territorio che dia sicurezza a onesti e persegua i disonesti". L’ultima rivoluzione è quella che passa dalla "coesione tra le associazioni, ed è promettente".

"Non ho niente da portare oggi - conclude -, ma un incoraggiamento, un segno di vicinanza, la presenza della parrocchia, casa tra le case. E vi benedico". Rivolge le sue mani con i guanti neri verso la gente del Giambellino. "Qui, in questi grandi complessi di edilizia popolare, negli anni Sessanta hanno trovato casa molte famiglie che venivano nella nostra città da tutta Italia per lavorare - ricorda il parroco del Giambellino -: sono le famiglie che hanno fatto grande Milano e che, grazie alla casa popolare, hanno potuto crescere i figli, farli studiare, lanciarli nella vita. La casa popolare ha rappresentato uno dei fattori di quell’ascensore sociale che oggi si è fermato". Tanti se ne sono andati, i giovani guardano altrove. "Molte case sono rimaste vuote, anche in questo cortile, come molte portinerie. Cosa che, non ci stancheremo mai di dirlo, ci scandalizza. Perché una casa vuota è un invito all’occupazione e l’illegalità attira illegalità". Tra le ombre, si fanno spazio spiragli, il sole filtra tra i panni: "Eppure anche qui ci sono persone che non solo resistono, o magari più semplicemente si rassegnano, ma che si impegnano per rendere migliori queste case".

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