La folgorazione leggendo un libro. Da 50 anni "ripara" il cuore dei bimbi

Alessandro Frigiola dirige la Cardiochirurgia pediatrica e dei congeniti adulti del Policlinico San Donato

Alessandro Frigiola

Alessandro Frigiola

San Donato Milanese (Milano) -  All’inizio voleva diventare ingegnere. Poi la folgorazione. Dopo aver letto il romanzo di Joseph Cronin “La Cittadella” ha deciso di seguire le orme del dottor Andrew Manson: "Lavorare nel solo interesse del paziente". Così da 50 anni Alessandro Frigiola, 79 anni, cerca di “aggiustare” il cuore dei bambini malati. Lo fa come direttore della cardiochirurgia pediatrica e dei congeniti adulti del Policlinico San Donato e anche come fondatore e presidente di Bambini cardiopatici nel mondo, una onlus che in 29 anni di attività ha realizzato oltre 450 missioni, operato più di 3mila minori e concesso, in accordo col Policlinico San Donato, 420 borse di studio ad altrettanti medici di 27 Paesi. Ora il sodalizio ha lanciato la campagna Cuori in emergenza, una raccolta di fondi per consentire ai piccoli cardiopatici delle zone più povere del mondo di curarsi in Italia. C’è tempo fino a domani per inviare un sms, o chiamare da rete fissa il numero solidale 45587. 

Professore quando e perché ha sentito la necessità di fondare l’associazione? "Durante un viaggio in Vietnam ho visto bambini morire per patologie che in Italia riuscivamo tranquillamente a curare. Del resto, nei Paesi in via di sviluppo le cardiopatie congenite rappresentano ancora la terza causa di morte, dopo le infezioni e la malnutrizione, nel primo anno di vita. Mi è sembrato doveroso fare qualcosa. La collega Silvia Cirri ha sposato la causa".

Come lavora la onlus? "In alcuni casi i piccoli vengono operati nei loro Paesi, altre volte raggiungono l’Italia per essere trattati a San Donato. Negli ultimi due anni, sull’onda della pandemia, le nostre missioni all’estero si sono ridotte. Da qui Cuori in emergenza, che aiuta le famiglie a coprire i costi di trasferte e spese mediche, per far fronte ai casi più gravi. In assenza di partnership con enti o istituzioni, ogni intervento costa in media 18mila euro".

Cosa si prova a salvare la vita di un bambino? "A volte si arriva allo stremo delle forze, fisiche e mentali. Ma poi il sorriso dei genitori è un’emozione indescrivibile. È come se quei volti dicessero: grazie dottore, ora faccia lo stesso con altri bambini".

C’è un episodio che le piace ricordare? "A metà degli anni Novanta, nel Kurdistan iracheno. Mahmud, 5 anni. Nessuno prima di noi aveva voluto operarlo. Un caso complesso. Nonostante 4 ore di massaggio cardiaco, il cuore non ripartiva. Il chirurgo principale ha gettato la spugna. Io invece sono rimasto, ho continuato a massaggiare. Tre giorni dopo Mahmud gironzolava nei corridoi dell’ospedale.

Quattro anni fa, su un volo Tunisi-Milano, lei ha salvato la vita di Amira, una bimba di 10 giorni, fortemente sottopeso, con una grave malformazione cardiaca. "La situazione era delicata. Il volo era in ritardo e le bombole d’ossigeno della piccola non sarebbero bastate. Ho convinto il pilota ad andare un po’ più veloce e, quando mi sono reso conto che la temperatura corporea della bambina stava scendendo, ho chiesto di alzare la temperatura della cabina passeggeri. Per un soffio, ce l’abbiamo fatta. E su quell’aereo tutti facevano il tifo per la piccola".

E gli insuccessi? "Purtroppo ci sono anche quelli. Ma dove possibile, non bisogna mollare".

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