Al Niguarda il primo vaccino è una "livella": in fila professori, ausiliari e medici

Ieri il V-Day dell’anti Covid: "Per noi proteggersi è un dovere e un onore". Si parte anche al Trivulzio, il primo è un ospite di 88 anni

Covid, i primi vaccinati al Niguarda di Milano

Covid, i primi vaccinati al Niguarda di Milano

MILANO

di Giulia Bonezzi

All’ingresso del blocco Sud del Niguarda la livella è una lista dalla quale un impiegato spunta, man mano che arrivano, i nomi di primari e dottori, infermieri, operatori sociosanitari e addetti ai servizi di tutti gli ospedali del Milanese, professori diventati ancor più famosi raccontando in televisione la pandemia, presidenti di Ordini, rappresentanti dei volontari delle ambulanze e dei medici di base. I primi sette, i "testimonial", li mettono in fila e li vaccinano in contemporanea; gli altri li distribuiscono in sei ambulatori, smaltendone ottantanove in un’ora e mezza. Una visita per l’anamnesi, la puntura sulla spalla e un quarto d’ora seduti in attesa in caso di reazioni allergiche; e poi via, torneranno tra 21 giorni per la seconda dose, nei loro ospedali se ospedalieri oppure al Niguarda; in caso di effetti collaterali contattare il medico di base.

Ad attendere il loro turno ci sono professori del comitato tecnico-scientifico lombardo come Antonio Pesenti, che coordina le terapie intensive, e Massimo Galli, l’infettivologo del Sacco: "Sono un vecchio asmatico e poliallergico. Se mi capitasse una reazione non sarebbe un evento straordinario ma lo faccio lo stesso. È ora di voltare pagina, il 100% di sicurezza non esiste per nessun farmaco, vaccino o intervento. Il seme dell’esitazione - riflette - alligna parecchio anche nell’ambito dei sanitari, che meno di tutti gli altri sono giustificati". Vaccinarsi "per un infermiere è un dovere verso i cittadini, verso i colleghi e anche verso la scienza in cui crediamo", taglia corto Barbara Mangiacavalli, direttrice sociosanitaria dell’Asst Nord Milano ma vaccinata in quanto presidente della Fnopi, la federazione degli ordini degli infermieri. Il primario dell’Anestesia e rianimazione del San Raffaele Alberto Zangrillo, che ha rinunciato a presenziare al V-Day, chiarisce che si vaccinerà appena possibile, ma insieme ai colleghi del San Raffaele: "Non partecipo a passerelle", ha twittato.

E sì che avrebbe potuto essere ben più cinematografica, questa prima del vaccino antiCovid in Lombardia, la regione che per prima in Europa e "più di tutte", certifica il rappresentante locale della Commissione Europea, ha patito l’urto della pandemia. Invece i discorsi istituzionali, ridotti a tre, durano meno di mezz’ora per far partire le 12 automediche già cariche delle dosi preziose dirette alle province lombarde, Codogno e Alzano in testa, e solo dopo si comincia a vaccinare, sotto obiettivi e telecamere solo istituzionali, più una troupe scelta per sorteggio. Chi vuole, poi, torna sul piazzale a raccontare. "Io sto benissimo", dice l’operatrice socio-sanitaria Adele Gelfo, che era tra i sette testimonial: cinquant’anni compiuti il 2 dicembre, al Niguarda dal ’91, dalla prima ondata ha girato quasi tutti i reparti Covid e ieri sera tornava in ospedale per il turno di notte. Quando le hanno telefonato per chiederle se voleva essere tra i primi, "ho risposto di sì senza pensarci. I miei colleghi la pensano come me, è una sicurezza in più per i familiari a casa. Questi mesi sono stati pesanti". "Chi ha visto cosa fa il Covid non lo vuole prendere", ragiona il professor Francesco Blasi, direttore della Pneumologia del Policlinico e ora di una terapia semintensiva da 44 letti Corona: "Il 10-20% di chi l’ha avuto in maniera grave ha conseguenze post-infezione: possono essere danni a livello polmonare e cardiaco, ma anche problemi di tipo neurologico o psicologico e psichiatrico". Fiorenzo Corti, vicesegretario nazionale della Fimmg che ha fatto la polmonite a marzo, spiega che il vaccino è importante anche per chi ha già avuto il Covid. Il presidente dell’Ordine dei medici di Milano Roberto Carlo Rossi insiste che tra le prime categorie, blindate dal Ministero, dovrebbero essere inseriti anche i dentisti e i liberi professionisti che non lavorano per la sanità pubblica, "perché un medico per il suo stesso lavoro può diventare un superdiffusore del virus".

Al virologo Fabrizio Pregliasco, testimonial in quanto presidente dell’Anpas che rappresenta i volontari delle ambulanze, non era mai capitato di essere tra i primi a ricevere un vaccino, ed è "un piacere, un onore e un dovere, visto che me ne occupo da sempre, dimostrare che mi fido. È tipica l’esitazione nei confronti dei vaccini: quando abbiamo un mal di testa feroce siamo disposti alla scommessa sugli effetti indicati nel bugiardino per stare subito meglio, il vaccino invece è una scommessa preventiva su un problema del futuro che non potremo mai confermare. S’è sempre vista questa esitazione anche nel personale sanitario, ma noi abbiamo una responsabilità in più, anche di continuare a essere operativi", spiega il professore che è anche supervisore scientifico del Trivulzio, dove le prime 50 vaccinazioni, nel pomeriggio, hanno riguardato anche 11 ospiti. Il primo è stato Franco Brioschi, ex tappezziere e imbianchino, di 88 anni. Dall’altra parte di via Trivulzio, intanto, un barista che serve caffè d’asporto la domenica tra Natale e Capodanno segue le notizie sul V-Day in televisione. E non vede l’ora che sia il suo turno.

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